Gay clubbing memorabilia puntata 3. Un Grand Tour disco. Intervista a Jussi Kantonen.

6 settembre 2015

L’utopia disco”, come molte utopie, fu un esperimento riuscito solo in parte. I primi locali in cui nacque e si sviluppò questo genere, erano caratterizzati da uno spirito universalistico, pansessuale e multirazziale, quasi di derivazione post-hippie. Il carattere elitario di luoghi come lo Studio 54 sarebbe arrivato in seguito, così come il fenomeno un po’ kitsch degli emuli di Tony
Manero, soprannominato in Italia “Travoltismo”. Eppure il sentirsi un unico corpo mosso dalla musica, a prescindere da orientamento sessuale, censo e razza, continuò ad essere un elemento caratterizzante alcune singole realtà; discoteche, sex club, bar, dove il momento del ballo veniva vissuto come un rito collettivo e liberatorio. Per questo, nel voler parlare del clubbing gay a cavallo degli anni 70 e 80, credo sia necessario rintracciare anche quelle persone che magari non condividessero gli stessi gusti in fatto di sesso, ma che furono partecipi dello stesso rituale, negli stessi luoghi, senza reali barriere di tipo moralistico. Non molte, forse, ma una di queste è senz’altro Jussi Kantonen, che dell’” utopia disco” ne è stato testimone e protagonista. Ho deciso allora di intervistarlo, cercando di chiedere soprattutto informazioni sui locali Europei da lui visitati, vista la penuria di saggi sul clubbing gay nell’Europa di 30-40 anni fa. Una sorta di intervista-Grand Tour disco quindi..
Jussi Kantonen è un architetto e DJ Finlandese. Ha suonato in locali come il Barcelona Slow (Barcellona), Le Nouveau Casino, L'Etage e La Java (Parigi), l'Underground (San Francisco), il Zone e il Soju Bar (Berlino), l'East (Stoccolma), la Baby Bathhouse (Londra), al Palermo Pride del 2013 oltre che naturalmente ad Helsinki. Ha rappresentato l'Europa alla mostra “Disco: A Decade of Saturday Nights” al Microsoft Experience Music Museum di Seattle. Tra le varie interviste, alcune su Tetu Plage, Radio 88.2 Paris, RAI 2, Capitol Radio London e MTV Europe.
Jussi fa parte del collettivo Overfitting Disco (http://overfitti.ng-dis.co/), ed è co-autore (insieme ad Alan Jones) e "remixer" del libro Saturday Night Forever - The Story of Disco (uscito in Gran Bretagna, USA ed Italia, col titolo Love Train. La Grande Storia della Disco, Titolo per Titolo, Notte per Notte). Odia Abba e Bee Gees, e il suo obiettivo è corrompere chiunque con 45 giri disco di produzione Europea.

 

Prima di tutto, grazie per aver accettato di farti intervistare; credo che ci siano ancora molte cose da sapere sul clubbing, gay e non, del passato. In questo frangente però mi limiterei a parlare degli anni 70 e 80, quelli ovvero in cui si sono affermati generi musicali come disco, hi-nrg e Italo disco. Quali sono i tuoi primi ricordi legati ad un club?
La nascita della moderna “club culture”, per la stragrande maggioranza di chi ne è stato testimone, è avvenuta con una rapidità incredibile. Un giorno ce ne stavamo lì seduti, ad ascoltare qualcuno
cantare, senza capire spesso il significato recondito nei testi delle sue canzoni. Molte volte non erano brani che parlassero di noi, ma di qualcun altro, il cantante stesso probabilmente.
All’improvviso scoprimmo un nuovo sound, chiamato disco, che cambiò le carte in tavola.
Fu una rivelazione. Non dovevamo più stare immobili, con una vaga sensazione di indefinitezza e di frustrazione. Avevamo finalmente una musica che ci facesse sentire vivi e ci possedesse in ogni molecola, diventando una colonna sonora della nostra quotidianità.
I primi club che frequentai erano comunque i classici posti per adolescenti, con musica per lo più rock. Poi arrivò la disco, e cambiò tutto. Ricordo che, da bambino, ebbi una vera e propria esperienza premonitrice di quanto sarebbe accaduto in seguito.
Ero in vacanza coi miei genitori a St. Tropez, e una sera li accompagnai in un locale notturno chiamato Voom Voom Club. Fino ad una certa ora fungeva da ristorante, dopodiché i tavoli venivano sparecchiati, e si poteva ballare al suono di bongos, con pezzi di afro-rock o generi simili.
Mia madre saltò su un tavolo, ed iniziò a scatenarsi, con le braccia che ondeggiavano in aria. Ricordo che pensai “wow, ecco cosa vuol dire essere grandi!”. Sfortunatamente, dopo poco venni accompagnato in hotel, insieme ad altri bambini, mentre gli adulti continuarono a darci dentro nel club.
Riguardo al primo locale che frequentai in epoca disco, era il Company Room. Si trovava nella mia città natale, e in pratica poteva entrare chiunque, se fosse apparso anche solo lontanamente dell’età giusta. Era famoso in città, perché aveva due schermi separati, che proiettavano uno delle cassette importate dello show televisivo Soul Train, e l’altro spettacoli di strip-tease o film pornografici Danesi. Imparai lì a ballare il bump[1], e anche l’hustle[2], che mi insegnò un giocatore della squadra locale di basket, proveniente dagli Stati Uniti.

In generale, come giudicheresti quindi la vita notturna nella Helsinki di quegli anni?
Giudicando dai posti visti Inghilterra, e nei paesi dell’area del Mediterraneo, non notai grandi differenze. La musica che veniva proposta era composta da grandi hit disco più qualche pezzo rock o soul. Molti club continuavano a mettere anche brani più lenti, odiati dalla stragrande maggioranza del pubblico. Una delle prime discoteche gay in cui andai si chiamava Africano; un posto dall’atmosfera amichevole, situato ad Helsinki. Si trovava esattamente al piano sotto la principale associazione LGBT della città, quindi la clientela era composta prevalentemente da gay, e probabilmente qualche ragazza lesbica, che però non notai. Che si fosse gay o no comunque, si andava lì per la musica, il ballo. La Regina non ufficiale dell’Africano era un personaggio leggendario in città, una ex insegnante di circa 60 anni chiamata Helinä Rautavaara. E’ morta da tempo, ma ad Helsinki c’è un museo interamente dedicato a lei. Durante gli anni 50 e 60, viaggiò moltissimo ai tropici, collezionando oggetti di arte religiosa. Si vantava di essere l’unica donna bianca iniziata alla religione Voodoo, ad Haiti, e di essere stata un’amante del generale Idi Amin. All’Africano, intorno a mezzanotte, Helinä faceva la sua entrata in modo
pomposo, indossando un abito da nativa del Congo. Si portava al centro della pista, scuotendosi in modo selvaggio su un ritmo che era solo nella sua testa, con gli occhi che ruotavano e le mani in aria. Attorno, aveva sempre un gruppo di giovani gay, che la veneravano come se fosse una sorta di Madre Terra.

Che tipo di musica veniva proposta nei locali gay di Helsinki?
Quando il fenomeno disco uscì dalla sua dimensione underground, molti si resero conto che la musica migliore veniva suonata nei locali gay. Riviste come la Inglese Record Mirror o la Statunitense Billboard dicevano la stessa cosa: i club gay erano il laboratorio per ogni tipo di avanguardia. Tutti i nuovi stili musicali, le nuove tendenze venivano scoperti, prima che altrove, in questi luoghi. Per fortuna, tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, la passione dei gay locali per la musica schlager o per l’Eurovision song contest non era ancora esplosa. Avevano piuttosto un culto per brani un po’ melodrammatici cantati da Regine della disco, come I Will Survive di Gloria Gaynor, o equivalenti Europei di artiste come Amanda Lear e Baccara. Ricordo che qui in Finlandia andava forte anche Abdullah’s Wedding, del gruppo Franco-israeliano
Orient Express, con la sua atmosfera da spettacolo per drag-queen. L’unico brano disco Finlandese suonato un po’ ovunque che io ricordi, era Auringonmaa, di Anneli Pasanen.Caso vuole che proprio quest’estate, il DJ Danese Nixxon (alias Nikolaj Birkens), lo abbia inserito nel suo DJ set durante il festival Camp Cosmic 2015, tenutosi in Svezia. Ricordo anche Igor, cantato da Kirka, un artista famoso all’epoca. Il testo di questo pezzo è esplicitamente gay, incentrato su un rapporto
“schiavo-padrone”, con quest’ultimo che obbliga l’altro a mangiare dalla ciotola di un cane, tanto per dire. Prodotto a fine anni 60, oggi viene suonato come se fosse un brano disco, mentre non lo
è, nonostante la sua struttura ritmica a 4/4. Tornando alle discoteche gay di Helsinki, non erano niente di speciale. Chi avesse avuto voglia di sentire buona musica e ballare, affollava per lo più l’Africano. Altri locali erano invece dedicati al “cruising”, cosa che a me interessava meno, anche se ogni tanto non disdegnassi conoscenze di tipo “orale” con altri uomini, nei bagni dell’Africano..

Non hai mai visitato quindi, ad Helsinki, posti come saune e sex club?
Sono stato in una specie di sex club, verso fine anni 70, ma c’era un’atmosfera così cupa e
truce, che in fondo ci sta tutta in luoghi come questo. Quando andai a New York per la prima
volta, nel 1979, vidi che cosa accadesse nelle back-room dei sex club. Ebbi molto da
imparare; credevo di sapere tutto sul fist-fucking, ed invece scoprii che si poteva inserire un piede intero, proprio “lì”..
L’estate precedente invece ero a San Francisco, ma con la mia fidanzata di allora, quindi non mi passarono per la testa pensieri come “oh, vediamo un po’ com’è quel posticino chiamato The Eagle[3]”. Ho la sensazione però che la vita notturna gay di San Francisco fosse ancora più estrema di quella Newyorkese.

Se mai stato a Parigi tra fine anni 70 ed inizio anni 80?
Parigi è la vera culla della disco. La maggior parte degli storici afferma che la disco sia nata negli Stati Uniti, ma questo è perché spesso gli Statunitensi pensano di avere inventato tutto loro. La disco nacque nel miscuglio multirazziale e multiculturale della Parigi nei primi anni 70. In questa atmosfera, emersero brani dalle forti influenze afro, come Soul Makossa, pronti per essere serviti al pubblico Statunitense. Anche gli Italiani contribuirono alla nascita della disco, con pezzi tratti da colonne sonore di film, che mischiavano elementi di world music con rock e wah wah[4] tipico del genere Blaxploitation[5]. A Parigi, andava forte la discoteca Le Palace, con una clientela mista e molto glamour. Sicuramente era la migliore della città, a mio avviso meglio anche dello Studio 54 di New York, che io non amavo assolutamente; troppo pretenzioso, e pieno di gente vestita in modo formale. Dopo aver ballato tra strane creature della notte a Le Palace, di solito me ne andavo verso le zone più malfamate della città, alla ricerca di locali ben più esotici e a volte pericolosi. Di solito erano piccoli bar con una zona dove poter ballare, anche se il ballo non era l’unica cosa che accadesse in quei luoghi. Ce n’era uno che, se non sbaglio, si chiamava The Bronx. Ricordo bene però l’odore pungente che si respirava, un miscuglio di popper, urina e qualcos’altro. Le Palace al confronto sembrava un luogo per puritani, dove sicuramente non ti sarebbe mai capitato di vedere uomini a giro con il loro pene eretto in bella vista.

Ammetto di essere un fan della disco prodotta in Francia, anche quella meno commerciale.
All’epoca però, la disco proposta in quasi tutti i club del mondo era prevalentemente
Statunitense, con un’aggiunta dei soliti nomi Europei, come Cerrone, Costandinos, Moroder e compagnia bella. Il menu comprendeva anche qualche hit Italiana, come I’m a Man di Macho, e singoli dei fratelli La Bionda. Quella che poi ha preso il nome di Cosmic disco, e tutti quei brani zeppi di violini un po’ dozzinali ed effetti al sintetizzatore, che oggi vanno forte tra i
collezionisti, allora non venivano praticamente mai suonati. La disco Francese che avresti potuto sentire spaziava da pezzi degli Space, dei Chocolat’s, di Patrick Juvet, a brani come Quartz dei Quartz, o Jungle Dj dei Kikrokos, senza dimenticare Born to Be Alive di Patrick Hernandez.

Com’era invece il clubbing gay nel Regno Unito?
A mio parere, non particolarmente esaltante, almeno durante l’epoca disco. Questo probabilmente perché il gusto dei Britannici era orientato più verso la musica funky, e i DJ Inglesi, quanto a tecnica, non erano nulla di che. Le cose cambiarono improvvisamente nel 1979, quando aprì l’Heaven, sotto le arcate della stazione ferroviaria di Charing Cross, nel centro di Londra. L’Heaven era un club gay dalle dimensioni enormi, che si rifaceva ai grandi club Statunitensi. Durante la prima metà degli anni 80 divenne una delle fucine del genere hi-nrg. Dagli anni 90 in poi ha attratto una clientela sempre più mista, e continua a barcamenarsi anche oggi.

Quale discoteca ricordi in particolare, tra le varie che hai visitato in Europa?
Il Piranha Club di Capri, senza dubbio. In questo posto io e i miei amici ci sentimmo realmente abitanti del Pianeta Disco, come poche volte mi era capitato. Fu un’esperienza
esaltante, un’atmosfera e una musica trascinanti; ricordo ancora che misero il medley con il brano Le Chat, dei Chocolat’s, African Queens e Summer Dance della Ritchie Family, e From Here to Eternity di Giorgio Moroder, un brano che in seguito Moroder stesso affermò di aver totalmente dimenticato. La sua memoria poi è “migliorata”, naturalmente..

In Italia, hai mai visitato locali gay come l’Easy Going di Roma, il Tabasco di Firenze, il Kinki a Bologna, o il Primadonna e la Nuova Idea a Milano?
L’Easy Going era fantastico. Appena entrato, avresti potuto percepire subito una sorta di elettricità nell’aria. A me ricordava molto il 12 West di New York, il miglior locale gay in cui sia mai
stato, meglio del Paradise Garage o del Crisco Disco. Proprio come al 12 West, all’Easy Going la programmazione musicale impeccabile trasportava i ballerini verso una sorta di nirvana senza sosta.
Gli Italiani però, quanto al saper ballare, non erano un granché, specie se paragonati ai
Newyorkesi. Lo si può constatare anche dalle scene in discoteca dei film Italiani
dell’epoca, piuttosto imbarazzanti.

In questa intervista mi sarei voluto limitare a parlare dell’Europa, ma visto che hai citato il 12 West, non posso non chiederti di parlarmi del clubbing gay nella New York di fine anni 70.
Il 12 West fu per molti aspetti la discoteca perfetta. L’esperienza del ballo era portata al suo massimo in questo club. L’ambiente non era altro che una grande stanza spoglia di ogni tipo di decorazione, quindi non c’era alcun elemento di distrazione al di fuori della musica che pulsava ipnoticamente da un impianto audio strepitoso, e dei corpi che ballavano quasi come se fossero un’unica entità. Ci si sentiva membri di una sorta di tribù celebrante un rito, in un’oscurità interrotta solo da sporadici tuoni e luci. Si trattava di una celebrazione fatta di soli uomini.
In più non esisteva alcuna politica di selezione all’ingresso, o obbligo di tesseramento come al Paradise Garage. Visitai il Paradise Garage due volte, in serate in cui facevano entrare anche uomini etero, ma solo se il loro “look” fosse ritenuto adeguato. Io indossavo dei blue jeans chiari, e t-shirt dai colori fluorescenti di Fiorucci, non ancora conosciutissimo nel “Regno del Poliestere”. In più ero giovane e biondo, quindi vagamente esotico in un locale frequentato prevalentemente da Ispanici e Afroamericani; mi fecero entrare, così come accadde anche allo Studio 54. Il Garage non era male, grazie anche alla maestria del DJ Larry Levan, e alla ciotola, da cui ci si poteva servire gratuitamente, zeppa di punch addizionato di acido.. Ciononostante, non poteva assolutamente paragonarsi al 12 West. Altri locali gay Newyorkesi che meritassero una visita erano il Crisco Disco e l’Ice Palace. Il primo era molto buio, con buona musica, e una clientela fatta di tipi baffuti vestiti in jeans (del genere magro e snello, ormai fuori moda allora). L’altro aveva un’atmosfera più frivola, ariosa, ed era frequentato da quel tipo di persone che oggi si chiamerebbero, in
gergo, “disco bunnies”[6]. Poi c’era la centralissima Barnum’s Room, un posto pazzesco dove una troupe di transessuali Sudamericane, chiamate Disco Bats, si esibivano su una rete posizionata sopra la pista da ballo, mentre giovanissimi ragazzi di vita o luccicanti drag-queen ballavano e shockavano i turisti nella zona bar. Scendendo verso i moli sul fiume Hudson, avresti potuto trovare locali leather come il Mineshaft e l’Anvil. L’atmosfera di posti del genere si può vedere in
Cruising, un film quasi documentaristico di William Friedkin, con Al Pacino. Un errore del film è però non aver inserito nella colonna sonora alcun brano dance, in un periodo in cui tutti i club gay pulsavano al ritmo delle produzioni di Patrick Cowley, o di pezzi come Fear degli Easy Going.

Un’ultima domanda: dove pensi che sia, oggi, la movida gay più interessante?
Durante gli anni 80, dopo il periodo hi-nrg, molti locali gay sono stati stregati dal “virus Madonna”. A mio avviso, è anche per colpa di questa infatuazione, che il lato più avanguardistico del clubbing gay è andato via via scemando. Non posso negare che è diventata una sorta di divinità gay in anni molto difficili per la comunità LGBT ma, modellando il suo personaggio con astuzia, ha anche creato una nutrita schiera di cloni in sua adorazione, vestiti tutti in modo uguale, e sempre meno propensi ad esplorare gli aspetti più inconsueti della produzione musicale. La musica è diventata un accessorio come un altro, da esibire mentre ci si mette in posa. Ci sono
Eccezioni ovviamente, realtà gay fuori da un’ottica totalmente plastificata e commerciale, ma sono certo che anche in questi club a volte non possano resistere dal mettere qualche remix “Madonnaro”.

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