"Io e Roberta siamo... una coppia gay"

Intervista a Enrico Ruggeri

18 ottobre 2005, "Pride", ottobre 2005

In occasione dell'uscita del nuovo Cd di Enrico Ruggeri, Amore e guerra (Anyway Music, distribuzione Sony-BmG), lo abbiamo intervistato sul suo lavoro, e gli abbiamo rivolto qualche domande sui gay nella musica, il maschilismo, le unioni civili...

È uscito in questi giorni il nuovo album di Enrico Ruggeri, Amore e Guerra, anticipato di poche settimane dal singolo "L'americano medio".
Compositore raffinato, Ruggeri ha esplorato mille modi di fare musica, inizando dal punk (per poi reinterpretarlo recentemente a suo modo), fino alla musica etnica.
La sua carriera, partita dalla contestazione degli anni '70, ha percorso il lungo cammino della maturazione artistica fino a toccare temi scottanti come quello della pena di morte (assieme all'attuale compagna Andrea Mirò, che gli ha donato da pochi mesi un bimbo); della guerra ha raccontato i risvolti più immediati e crudi, quello della solitudine e dell'indigenza, ha dedicato un bellissimo brano al mondo glbt con la canzone "Trans", per non contare le decine di canzoni che ha scritto per amiche e colleghe tra le quali Loredana Bertè, Fiorella Mannoia e, non ultima, Mina.
"Pride" lo ha incontrato in un caldo pomeriggio di luglio, nel suo studio di registrazione, mentre stava lavorando alla fase di missaggio del nuovo album.

Sei nato musicalmente negli anni settanta, quando il punk iniziava a spopolare. Ci credevi sinceramente nel movimento punk, o era solo un modo per "cavalcare l'onda"?
Assolutamente, c'ero dentro fino al collo, anche perché avevo 18, 19 anni e, quando hai un'ideale a quell'età lo sposi interamente. Il fenomeno punk aveva una serie di messaggi molto forti, per esempio avevamo ereditato i fallimenti della generzione che ci aveva preceduto, di quelli che pur avendo fatto il '68 (o di quelli che parteciparono alle grandi contestazioni negli anni di piombo) o erano finiti a lavorare in banca, o erano finiti a fare i terroristi. In entrambi i casi erano stati sconfitti o inglobati dal sistema.
Quindi c'era la consapevolezza che del fatto che i giovani facevano parte di una generazione piena di conflitti, proprio per il fatto di essere giovani.
Il messaggio del punk in tal senso era del tipo: "Visto che non ci ascoltate allora vi obblighiamo a scandalizzarvi al nostro passaggio, siamo lo schiaffo in faccia al mondo per bene".
Oltretutto questo fenomeno aveva una serie di caratteristiche musicali ben definite. Se per un ragazzo che si avvicinava timidamente alla chitarra i grandi musicisti degli anni '70 erano inarrivabili, la musica punk era la dimostrazione del fatto che se avevi energie e idee potevi anche non essere preparato tecnicamente (ti basti pensare ai Clash, ai Sex Pistols ecc.).

Il fenomeno punk, almeno agli esordi, era appalto di artisti notoriamente maschilisti. Ti rispecchi in questa definizione?
L'uomo è maschilista per nascita: bisogna diffidare dell'uomo femminista. Per esempio, l'uomo tende a minimizzare il suo tradimento nei confronti della donna, però se è la donna che tradisce il maschio, allora ne viene fuori una tragedia. La maggior parte dei maschi eterosessuali è così.
L'uomo che tende ad ingraziarsi le donne minimizzando il concetto di tradimento nei suoi confronti, mente...

Maschilista o no, d'altro canto hai scritto canzoni meravigliose per alcune tue colleghe...
Durante l'adolescenza il mio rapporto con le donne era a dir poco problematico: io ero uno di quei tipi di sedici anni, che si innamorano di una ragazza di diciotto, la quale però è cotta per un ragazzo di venti. Quando tu diventi il migliore amico della ragazza dei tuoi sogni, a cui lei confida tutte le sue ansie, le sue aspettative, è come dire "non te la darò mai!". Quindi a volte, pur di trovare uno spiraglio per infilarmi tra le lenzuola della bella della classe, che però smaniava per un altro, dovevo ascoltarla a lungo...
Non per essere cinico, ma ascoltare la gente fa parte del mio mestiere: spesso le mie canzoni raccontano storie avvenute a persone che ho incontrato. Le donne le ho dovute sempre conquistare con la dialettica, soprattutto prima di diventare famoso. Perché non ero il più bello della classe, non ero quello che parlava in assemblea, non ero ricco, non avevo il motorino, non vincevo il campionato di salto in alto, di fatto avevo due chance: o parlavo o non combinavo nulla.

Negli anni '70 essere cantautore significava necessariamente essere "impegnato" e di sinistra. Secondo te com'è cambiato, se è cambiato, l'impegno dei cantautori e di chi in genere scrive musica, nei confronti dei temi sociali?
Oggi fortunatamente non ci sono più schieramenti così definiti come in quegli anni. Una volta era come parteggiare per il Milan o per la Juve, essere di destra o di sinistra significava addirittura vestirsi in un determinato modo.
Oggi ci si confronta con i temi, sono temi universali, non mi sembra vi siano temi di destra o di sinistra, certo ci sono argomenti più egemonizzati da una certa sinistra, ma il tema della pena di morte, il tema della tolleranza, sono soggetti sociali di convivenza, che non dovrebbero essere accostati ad uno schieramento preciso.

Vorrei citare almeno due episodi, canzoni significative, riguardo al tuo impegno in fatto di questioni sociali, la prima "Primavera a Sarajevo", la seconda, presentata l'anno dopo con Andrea Mirò è "Nessuno tocchi Caino". Segno che la musica può servire a sensibilizzare la coscienza delle persone...
Certamente, non so in quale quantità, però per essere pragmatici dirò che dopo l'uscita della canzone "Nessuno tocchi Caino" le persone che sono venute a conoscenza di questa associazione (Nessuno tocchi Caino, appunto, ndr) che si batte per eliminare la pena di morte sono come minimo raddoppiate.
Di Sarajevo non parlava più nessuno: Sarajevo è una scommessa per l'Europa, è una città incredibile, dove in cento metri trovi una moschea, una sinagoga, una chiesa cattolica: è un incrocio di razze, è un luogo che l'Europa deve tener da conto, può diventare il simbolo di una cultura multietnica e multireligiosa.

A proposito di temi sociali, nel tuo album Peter Pan, del 1991, c'è una canzone, "Trans" che per quegli anni era abbastanza "forte". Ce ne parli?
In questa canzone si intravedono due aspetti.
C'è una coppia in scena, dove il "maschio" si vergogna un po' del suo compagno trans, lo nasconde in cucina ecc. Rappresenta un dramma interiore all'interno di una coppia che ha già dei problemi a porsi nei confronti del mondo "normale".
Il secondo aspetto è il tema che mi sembra fosse il più azzeccato per la canzone, ossia il perbenismo di quelli che di giorno criticano e che di notte, magari con il seggiolino per il bambino sul sedile posteriore, si aggirano alla ricerca di emozioni con i travestiti e con i trans.
È un fenomeno molto radicato nella cultura italiana.

"Trans" è una canzone che ho "sentito" particolarmente quando a Milano c'era molta più prostituzione: mi faceva riflettere vedere queste file di macchine con persone assolutamente insospettabili...d'altra parte, mi dicevo, se c'è l'offerta vuole dire che c'è la domanda.
Mi è stato riferito che alcuni transessuali si siano messi a piangere quando hanno ascoltato questo pezzo...

Anche il tuo nuovo album, Amore e Guerra, tocca questioni sociali importanti, già a partire dal primo singolo, "L'americano medio". È un brano forte, ironico, nei confronti degli americani, così come un'altra canzone contenuta in questo album, "Paisà". Sicuramente per queste due canzoni sarai menzionato nel prossimo libro della Fallaci...
In effetti (ride)... Gli americani sono un popolo che mi fa paura, per il semplice fatto che è un popolo sommerso dalle proprie paure.
Gli Stati Uniti fondano tutta la loro politica sulla paura dell'ignoto, e soprattutto sulla paura di quello che non capiscono, di quello che è diverso da loro. Con l'aggiunta del fatto che si arrogano il diritto di essere loro i portatori sani di democrazia.
Con questo brano volevo ironizzare su quanto noi italiani cominciamo ad assomigliare a loro.
Tutto quello che esce dal nostro abito mentale, dalla nostra scatolina, diventa motivo di ansia. Tutto ciò che arriva qua, ed arriva anche per colpa nostra, è motivo di ansia.
Molti degli extracomunitari arrivano nei nostri paesi perché il nostro ordinamento occidentale ha fatto sì che loro non avessero da mangiare, o almeno non ha fatto nulla per evitare questa situazione.
"L'americano medio" è una canzone che prende posizione in maniera ironica.
Io credo che chi scrive canzoni oggi qualche segnale lo debba mandare.
Non si possono sempre scrivere canzoni d'amore e di storie che finiscono. Questa è una canzone che lancia un segnale: attenzione perché stiamo assomigliando pericolosamente agli americani e i risultati delle loro paure sono sotto gli occhi di tutti.
È un brano che suggerisce riflessioni, sul fatto che ormai siamo tutti in casa, abbiamo tutti la porta blindata, abbiamo tutti l'antifurto, ci avviamo verso un mondo in cui l'individuo sarà sempre più chiuso in se stesso. Penso sia un dovere morale prendere posizioni, non per insegnare qualcosa a qualcuno, ma stimolare se non altro delle domande.
Più in generale questo nuovo album è sintomatico del periodo delicato in cui viviamo: da un lato viviamo in un mondo complesso, ingiusto, contraddittorio, violento...sta esplodendo un po' tutto. La metà del mondo che ha fame reclama la sua parte alla metà del mondo che soffre di indigestione.
Trovo per contro che ci sia alla base di tutto sempre più un desiderio di amare e di essere amati, di dare vita a progetti. In un certo senso è anche positivo: mi sembra vi sia un'inversione di tendenza: il fatto di possedere la macchina sempre più grande, la casa sempre più grande, la villa al mare sempre più grande... Mi sembra che ci sia una consapevolezza del fatto che anche i ricchi piangono, che non è lì la battaglia della vita, è da un'altra parte.

Passiamo all'argomento che sta a cuore ai lettori di "Pride". Dario Gay è uno dei pochissimi (si contano su una mano) cantanti gay italiani che non nascondono la loro condizione, al punto da avere inciso quest'anno la prima canzone italiana dedicata al matrimonio gay "Ti sposerò". Tu per Dario hai scritto due canzoni: "Melodrammatico" e "Diamante". Com'è nata questa collaborazione?
È nata perché lui scriveva cose che mi piacevano.
Ed è proseguita perché è una persona per bene, a posto...

Ti sei reso conto del fatto che Dario fosse gay, e se sì, come ti sei posto quando hai scritto queste canzoni?
Devo dire che ai tempi lui era un po'... come dicono i gay? ..."velata", per cui no, non mi ero posto il problema.
Poi piano piano, quasi naturalmentente, è venuto fuori il fatto della sua omosessualità, ma è successo in maniera del tutto spontanea, e non c'è stato nemmeno il bisogno di chiedere conferma, da parte mia.

In una recente intervista per "Pride" la tua compagna Andrea Mirò afferma di aver scoperto nel pubblico gay un pubblico più attento verso gli artisti, un pubblico che non si sofferma al superficiale. Condividi questa sua opinione?
C'è in questo pubblico una stranezza che non riesco a capire fino in fondo: molte icone gay sono donne. E ti confesso che qualche volta, quando ero nel dubbio e non capivo se la persona con cui parlavo fosse gay o etero, più che altro per curiosità, magari spostavo il discorso su Mina, e se l'interlocutore s'illuminava allora avevo conferma del fatto che fosse gay.
Al di là di questo, mi sembra che nella scala di valori dei gay la musica rivesta un'importanza superiore alla media.
Probabilmente ciò è dovuto al fatto che un gay ha una sfera affettivo/sentimentale un po' più pronunciata, magari per qualche disagio, per qualche sofferenza, per qualche travaglio, o magari perché è venuto allo scoperto solo in una seconda fase della sua vita...
Diciamo che, mediamente, un gay ha una vita spesso un po' più complicata rispetto ad un etero. Immagino che possa essere questo il motivo per cui può aver sviluppato di più la sua sfera emotiva.
Attribuisco a questo il fatto che il gay non si vergogna a dire "questa è la mia canzone", "questa è una canzone per la quale mi sono commosso": dà molta importanza alla musica.

Perché secondo te in Italia c'è ancora la difficoltà, da parte di tuoi colleghi notoriamente gay, a sbilanciarsi circa i loro gusti sessuali?
Me lo sono chiesto spesso perché, pur non facendo nomi, ci sono casi che sfiorano il ridicolo...
All'estero questo non accade.

Perché?
Io ipotizzo che sia per il fatto che all'estero l'artista è talmente inavvicinabile che la ragazzina che compra il disco di uno non spera poi di andarci a letto.
Qui da noi invece l'artista è un po' più vicino alla gente, per cui forse, azzardo l'ipotesi, teme di non poter diventare più la preda potenziale della ragazzina... che quindi non gli compra neanche più il
disco.

E l'influsso della Chiesa?
La presenza della Chiesa in Italia non la vedo tanto come un deterrente su questo tema, perché abbiamo un sacco di artisti che si vantano delle loro conquiste eterosessuali, che cambiano coppie: su "Novella 3000" li vedi ogni estate con una tizia diversa...
In teoria anche loro sono in contrasto con la Chiesa, in teoria vanno all'inferno tutti e due che cambiano partner come cambiare fazzoletto, anche se si tratta di relazioni etero e non gay.
Però qui non c'è nessuna remora a farsi vedere... Evidentemente il problema è la questione gay.

Arriviamo dunque ad un tema che sicuramente ti sta a cuore: le unioni civili...
Su questo tema sfondi una porta aperta: io e Roberta [la sua partner Andrea Mirò, ndr] siamo una... coppia gay, dal punto di vista delle tutele. Siamo nella stessa situazione...
Ciò detto, secondo me in Italia c'è stata un'eccessiva spettacolarizzazione del mondo gay.
Ossia: i nostri media hanno fatto in modo che tra la gente comune passasse un messaggio distorto riguardo alle unioni civili, si è posto, si pone l'accento sui matrimoni gay creando nell'immaginario collettivo che il matrimonio tra persone dello stesso sesso sia quello rappresentato da un uomo che esce dalla chiesetta vestito da sposa mentre bacia un uomo barbuto.
Se la questione fosse stata impostata in maniera diversa, secondo il principio per il quale "è giusto che le persone conviventi che non sono sposate abbiano una serie di diritti e tutele", probabilmente saremmo molto più avanti.
La stessa distorsione la ritrovi quando si parla di gay Pride, perché quelle poche telecamere che arrivano vanno sempre a riprendere i travestiti o quelli che esibiscono in bella mostra il proprio posteriore.
Il Pride è anche questo, ma non è solo questo, non accade mai che in televisione passi l'idea del dibattito, delle persone che dialogano e che si ritrovano; vince l'idea di una carnevalata chiassosa.
Per rendere l'idea che la maggior parte degli etero si è fatta dei gay vi voglio riportare un episodio accadutomi anni fa: tentarono di attirarmi in un tranello su Scherzi a parte.
Lo scherzo prevedeva che mentre io ero a tavola al ristorante, entrasse nel locale una coppia gay e che uno della coppia iniziasse ad inviarmi dei baci. Secondo loro io avrei innanzitutto dovuto imbarazzarmi per la situazione creata; inoltre il compagno di quello che mi avrebbe dovuto inviare i baci si sarebbe dovuto incazzare.
Io mi sono accorto della stranezza dopo pochi secondi, perché per gli autori del programma la "tipica" coppia gay, quella che loro avevano messo in scena, era formata da un travestito (ma di quelli brutti, un uomo con la parrucca, i tacchi a spillo, la minigonna) ed un altro che fingeva di essere un gay piuttosto effeminato.
È una coppia che non esiste: lo scherzo avrebbe funzionato solo se avessero ingaggiato due gay... due gay veri.

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