recensione diSergio Trombetta
Gelati di passione. Racconti cubani
ROMA
«COME sono stato? Male. Molto male. Non succede tutti i giorni di trovare la tua casa e la tua vita su uno schermo cinematografico; ascoltare le tue parole, vedere la roba tua...».
Chi parla è Roger Salas, il critico di danza del Paìs di Madrid.
Nel 1993 uscì a Cuba il film Fragola e cioccolata, destinato a diventare un grande successo (anche in Italia). Il regista Tomas Gutierrez Alea lo aveva tratto dal racconto omonimo di Senel Paz.
Ebbene, Salas è il protagonista reale della vicenda raccontata da Paz. E' lui l'omosessuale colto e decadente che allaccia una stretta amicizia con un giovane militante comunista conosciuto alla gelateria Coppelia, lo introduce ai piaceri della musica e della poesia, gli procura libri proibiti ed è poi costretto brutalmente all'emigrazione dal regime castrista.
Salas, 52 anni, Cuba l'ha dovuta lasciare per davvero.
Per vent'anni Salas ha taciuto, per quanto amareggiato dal racconto di Paz, secondo lui «riparato sotto la gonna della moralità socialista». Ma dopo vent'anni ha deciso di raccontare la propria storia, quella vera, in Gelati di passione, libro di racconti che esce ora in traduzione italiana dalla editrice romana Voland. In questa occasione lo abbiamo incontrato.
Lei ha conosciuto Senel Paz quando era a Cuba?
«Certo. Era lui il mio fidanzato platonico della storia, anche se il nostro rapporto non era così immacolato come ha raccontato lui. Anni dopo il mio esilio da Cuba lo incontrai a Madrid. Era già uno scrittore di successo e mi disse: "Senti, dobbiamo parlare un po' della nostra vita passata; devi ricordarmi tante cose comuni".
E poi ha raccontato la storia a modo suo, molto rosa, assolutamente innocente».
Poi lei ha lasciato Cuba come il protagonista di Fragola e cioccolato, cacciato da Castro.
«Nel 1981. Sono arrivato all'aeroporto dell'Avana con una busta di plastica in mano: dentro avevo due paia di mutande e 100 fotografie della ballerina Alicia Alonso».
Da Cuba dove è andato?
«Prima a Madrid. Poi a Milano dove ho lavorato a lungo, cinque anni, con l'architetto Garatti che mi ha dato un grande aiuto. Quindi sono tornato in Spagna per fare il critico di danza».
In Gelati di passione alcuni racconti descrivono una Avana dei bassifondi, ambienti omosessuali, ragazzi disponibili e mercenari. C'è qualcosa di autobiografico, per esempio dove descrive le brutalità del carcere?
«Sono stato due volte in prigione. Per reati sessuali ma collegati alla politica. A quell'epoca a Cuba essere omosessuale era anche un reato politico. L'accusa serviva spesso per mandare in prigione quelli che davano fastidio al regime».
In un altro racconto, c'è un ragazzo che ottiene un visto per l'estero in cambio di una tela di Zurbaràn.
«A Cuba c'era un mercato nero fiorentissimo. Si vendevano opere d'arte grandiose per uno stupido televisore, una lampada di Tiffany per due blue-jeans. Tanti stranieri arrivavano a Cuba a rubare, perché questa è veramente una maniera di rubare».
Nei racconti c'è anche molto sesso, descritto in maniera brutale e cruda: parchi oscuri e notturni, bordelli maschili, mezzane, terribili travestiti.
«Non ho voluto porre limiti nel riportare una realtà che conoscevo bene. La mia non è certamente l'Avana ripulita e ipocrita di Castro. Nei miei romanzi successivi il sesso è presente in un'altra maniera, non direi discreta, ma più dolce».