recensione diMauro Giori
Geschlecht in Fesseln
La vicenda di Geschlecht in Fesseln poteva vedere la luce, in quegli anni, solo nella Germania che aveva già prodotto film audaci come Anders als die Andern e che avrebbe presto parlato ancora di omosessualità nell'altrettanto sorprendente Ragazze in uniforme. Tutti film capaci di coniugare grande professionalità artistica, impegno sociale e tematiche scabrose non prive di risvolti sensazionalistici.
La prima parte del film presenta una situazione tipica del cinema realista dell'epoca: lui, Franz, è senza lavoro e deve adattarsi a fare qualsiasi cosa (tra cui il rappresentante di un oggetto allora di lusso: l'aspirapolvere), mentre lei, Helene, contribuisce al magro bilancio familiare vendendo sigarette. Un giorno un uomo la importuna, Franz reagisce e senza volerlo lo uccide, finendo in carcere. Qui Franz conosce un ricco imprenditore arrestato ingiustamente e presto rilasciato, Steinau. Una volta fuori dal carcere, oltre ad aiutare la moglie di Franz, Steinau decide di dedicarsi a un progetto di riforma carceraria. Realismo più impegno sociale, una formula vincente.
Fin qui buon cinema, grazie soprattutto all'inventiva di Dieterle (che avrà poi una carriera fortunata a Hollywood), ma nel solco del realismo in voga all'epoca, tinteggiato di melodramma. Così è piuttosto prevedibile che nel seguito tra Helene e Steinau nasca una certa attrazione.
Ma poi emergono venature decisamente meno consuete. In particolare, diventa sempre più chiaro il fatto che la sofferenza sia di Franz che della moglie non è tanto dovuta a fattori psicologici (mancanza dell'amato, solitudine, ecc.), quanto a fattori squisitamente sessuali. Gli uomini in carcere non fanno che pensare al sesso, ma anche Helene regge a fatica l'astinenza. Uno dei carcerati tenta addirittura il suicidio perché non gli viene permesso di passare almeno un giorno solo con la moglie. E questo sarà proprio uno dei punti della riforma proposta senza successo da Steinau.
Altrettanto inconsueto è il fatto che, se Helene cede al richiamo della carne e si concede a Steinau, anche Franz trovi la sua consolazione nel nuovo compagno di cella Alfred (interpretato dall'attore Hans Heinrich von Twardowsky, gay dichiarato). Una volta fuori dal carcere, Franz e la moglie tornano insieme, ma l'amore è svanito e nessuno dei due regge alla vergogna del tradimento.
Le sequenze più interessanti non sono tanto quelle della seduzione in carcere - molto rarefatte, ma non reticenti - quanto quelle successive all'uscita di prigione. In una di queste scene, un criminale consiglia ad Alfred di ricattare Franz (ovviamente in virtù del famigerato paragrafo 175, che sanciva l'illegalità dei rapporti fra uomini), ma Alfred se ne va infastidito: è veramente innamorato dell'ex compagno di cella. Dieterle non insiste oltre su questo punto perché nel finale ciò che gli interessa è il versante melodrammatico, non più quello sociale. E infatti Alfred, in un'altra scena memorabile, si reca a casa di Franz a fargli visita, portandogli un mazzo di fiori: sa del tradimento di Helene e della delusione di Franz e spera che questi voglia iniziare una nuova vita con lui.
Helene scopre così, con la visita di un Alfred innamoratissimo, che il distacco del marito non è dovuto, come credeva lei, al risentimento per il suo tradimento con Steinau. L'aspetto interessante è che i tradimenti dei due coniugi si equivalgono, l'amore e il desiderio eterosessuale e omosessuale sono sullo stesso piano e infatti la punizione è la stessa per entrambi: marito e moglie espiano il tradimento suicidandosi insieme. Il melodramma richiede la fine tragica e Alfred viene respinto, ma il personaggio è tratteggiato con una dignità che si cercherebbe per lo più invano nei personaggi omosessuali del cinema dei successivi trent'anni. Lo si vede anche dalla reazione di Helene, sconvolta ma composta, e sconvolta più per la scoperta del tradimento del marito che per il fatto che si sia consumato con un altro uomo.