recensione diDaniele Cenci
In piena notte
Ogni giardino, anche il più insignificante, il più trascurato, è lo spazio in cui si dilata l'immaginazione": e i giardini, metafora della vita, attraversano - come un sottotesto - anche l'ultima fatica di Farinetti.
Improvvisamente l'inverno scorso: poteva esser questo l'altro titolo del romanzo , dove si narra, con un calibrato flashback, un indimenticabile Capodanno in Tunisia vissuto sul filo del rasoio, tanto tempo fa, da una famiglia che il destino ha deciso di visitare.
Del capolavoro di T. Williams (Suddenly, last summer), il libro condivide una straordinaria abilità nei dialoghi, un'estrema densità di scrittura che, sino all'ultimo, avvince il lettore nelle lacerazioni e nelle speranze che agitano i protagonisti.
Diana sta per esser lasciata dal marito, di colpo la sua esistenza è come "smontata", le sembra "di vedere srotolarsi la vita come fosse un film".
Ma quella che sembra una storia di ordinaria separazione, sprofonda in un giallo metafisico: scompare (una fuga?) il primogenito Andrea, durante la vacanza che la famiglia trascorre vicino alle rovine di Cartagine a casa dello zio e del suo compagno Francis - una delle coppie gay più intimamente autentiche della recente narrativa italiana.
La lunare Diana è "persa, come smarrita in un bosco sconosciuto", simile a una cerva ferita.
Inizia allora una sofferta ricerca, ma le tracce di Andrea - suo Sole - sembrano dissolversi nell'enigma di un mosaico romano a el-Jem (riprodotto nel diario del figlio), in cui un fanciullo, con la morte negli occhi, sta per essere azzannato da una pantera.
Sono trascorsi vent'anni, Diana rievoca quelle vicende: la feroce morsa della memoria ha un po' allentato la presa, il buio del dolore si è ormai stemperato in una dolcissima nostalgia.