Prima di morire

È il nuovo romanzo di Gianni Farinetti: una lettura/intervista con l'autore

27 aprile 2005, "Aut", n. 62, ottobre 2004, pp. 32-35

Molti oggi rinunciano a tessere trame, ad escogitare sviluppi credibili. Farinetti, invece, è un appassionato di storie, di mappe e genealogie, e anche stavolta nella sua officina ha forgiato una saga ricca di caratteri forti, di colpi di scena, di luoghi evocati sotto un'inedita luce, di dialoghi serrati, di flashback memoriali e di struggenti echi della natura che richiamano la Woolf (Gita al faro, Le onde) e l'amato Pavese.


"Fra un paio d'ore - non sono ancora le tre - l'aria si farà prima gialla - vista come in un prisma staccherà compiute schegge venate di arancio e di azzurro paglierino che si incastoneranno una a una sui roseti, riflettendosi sui vetri appannati della serra - poi più scura scivolando verso l'infinito porpora del tramonto con un rapido passaggio di cenere. Quando sarà notte lo sarà totalmente, di colpo profonda e insondabile come un pozzo".


Queste descrizioni sono la cifra segreta di una tessitura che annoda luoghi e cose all'esistenza e alla morte dei personaggi.

Si pensi alle creature del bosco, involontarie testimoni del primo crimine:


"Solo profondi occhi di animali selvatici, notturni, anch'essi attoniti e indifferenti, vedono la scena. Ma niente, neppure questo, può interrompere il loro solitario vagabondare".

Si assapori la metafora naturale che accompagna la scoperta del secondo delitto:


"altre urla lugubri, lamenti senza speranza, si agitano come pipistrelli imprigionati dall'interno della casa".

Si osservi quel gruppo di famiglia in un esterno, alla Checov:


"Attendendo che passi il momento più strano del giorno - immediato dopopranzo, in giugno, in questa campagna così prossima ad essere inospitale e che è invece consueta e benigna come una vecchia conoscenza - tutto si pietrifica nel gruppo sotto il ciliegio".

Prima di morire, una vecchia infermiera (Adele) scrive a un nipote in America (Giulio) la verità su un fatto di sangue.

Il giovane è il deus ex machina chiamato a svelare, in parte, i nodi irrisolti di un duplice dramma che si è consumato tanto tempo fa.

Al centro del romanzo è un'antica dimora di famiglia (detta la Cagnalupa) dove Costanza Dogliani ospita d'estate i suoi due nipoti orfani (Carlo, ragazzo modello, e sua sorella Elisabetta, che è nel tunnel dell'eroina: "Mi sento impotente, senza risorse, è come se avessi davanti una porta sbarrata, un luogo impossibile da penetrare. Lei è lontana e irraggiungibile. E sola, solissima. Una pena immensa", confida la nonna), un loro amico (Emanuele, da sempre innamorato "con inesauribile tormento" di Carlo, che non lo ricambia: "Cosa c'è di più intimo e voluttuoso che una solitaria e occultata stretta del desiderio?"), una "dama di compagnia" (Adele), ed è assistita da una contadina (Rosa, sposata ad Oreste che spesso ubriaco la maltratta, madre di Livio, un adolescente diversamente abile, "che fin da piccolo la segue come un gattino, spiando i gesti di lei, da lei apprendendo il mestiere della vita... Su una cosa madre e figlio si sono subito incontrati: il saper capire il mutare delle stagioni, il senso della terra, questa terra").


La casa e i suoi dintorni saranno il teatro di due efferati omicidi - vittime Costanza e Oreste.

Assurdi i moventi: un ingiustificato scatto d'ira in un caso, la spropositata vendetta per l'"oltraggio" subito da un innocente nell'altro.

I delitti, avvenuti a poche ore di distanza, vengono rievocati vent'anni dopo, sotto una nuova luce, nella seconda parte del romanzo.

Scavando negli smarrimenti del cuore, nelle ordinarie follie, nella stupida crudeltà degli umani, l'autore applica la lezione della Ginzburg, la feroce tenerezza di Patricia Highsmith. Ma si richiama anche a La cognizione del dolore di Gadda nel ritrarre la solitudine di Costanza Dogliani nell'avita dimora: "Giugno è un buon mese per morire", medita all'alba del suo ultimo giorno l'anziana Signora, mentre dalle persiane "piove una sottile lama di luce ancora impastata di notte".


Farinetti innalza i suoi castelli narrativi senza tralasciare alcun dettaglio essenziale: dalle fondamenta agli interni, per finire con le architetture di orti e giardini.

Curiosità: tra le "partecipazioni amichevoli", oltre agli immancabili Guarienti, a sorpresa l'autore fa incontrare Costanza (poche ore prima di morire) ad un concerto schubertiano con la famiglia di In piena notte, anni prima che un feroce destino separi Diana Fossati, Enrico e il figlio Andrea.

In un'intervista a "RaiLibro", dopo aver (parafrasando Wilde) affermato come la vita imiti l'arte, e l'arte renda semplicemente sopportabile l'esistenza, Farinetti ha espresso il suo desiderio di una bella etichetta di scrittore gay "se letteratura gay vuol dire storie nelle quali i personaggi omosessuali non vengono usati con i vecchi stereotipi del povero diverso", aggiungendo, però, di sentirsi stretto nelle "nicchie di mercato" che obbligano chiunque a catalogarsi per essere meglio riconosciuto.


Sia come sia, anche nei suoi precedenti romanzi [Un delitto fatto in casa (1996), L'isola che brucia (1997), Lampi nella nebbia (2000), In piena notte (2002)] i personaggi gay fanno la loro riuscita, e spesso svettano di gran lunga sulla meschina grettezza e sull'indifferenza del mondo "normale".


Ma il nostro è, senza dubbio, anche un raffinato autore di veri e propri racconti gay: I primi -"Sarebbe bellissimo e altre storie. Appunti di sceneggiatura per un film mai fatto" e "Mai una buona notizia"...- uscirono su Sodoma (nn. 2/1985 e 4/1988); gli ultimi "Eyes wide shut" (dove sbircia, in punta di piedi, con trepido affetto, il collaudato ménage di due uomini, e la straniante visione domestica del film di Kubrick stimola nel protagonista una coraggiosa riflessione sulla fedeltà e il tradimento) e "Pilar" (un'amorosa amicizia tra donne nella Spagna franchista) sono apparsi in Men on men 2 (Mondadori 2003) e Bloody Europe! (Playground 2004).


Abbiamo provato a rivolgergli qualche domanda sul suo ultimo libro.


Si dice che, pur non potendo ignorare l'accoglienza di critica e pubblico, un autore sia legato alla sua ultima creatura: è così anche con Prima di morire?

Sono molto affezionato a questo nuovo romanzo per più motivi: perché l'ho scritto in grande lietezza e perché ho ritrovato, lavorandoci, le mie campagne, le Langhe piemontesi, quelle meno conosciute, più misteriose.

Devo molto alla rilettura di Beppe Fenoglio, un autore straordinariamente moderno e attuale. E visivo come piace a me, come desidero essere anch'io.


In effetti è un romanzo in cui la geografia e la memoria dei luoghi giocano un ruolo importante nel cadenzare l'atmosfera del giallo.

Io sedimento molto prima di scrivere. La storia di questa nuova famiglia della mia personale saga l'avevo in mente da molti anni, e volevo assolutamente ambientare la vicenda nella Langa, ma non in quella ormai arcifamosa del vino, dei tartufi, dell'opulenta Alba. Un'altra Langa, più aspra e selvaggia: invece dei vigneti, sterminati boschi di castagni, intatti. E cinghiali, cerbiatti, falchi. E torrenti, ruderi di castelli, cascine appese alla collina.

In questa campagna immobile ho ambientato la storia della famiglia Dogliani e del suo singolare (disperato, anche) destino.


Il fatto di aver scelto due uniche giornate per ambientare il giallo crea nel lettore la sensazione del lento scorrere del tempo, quasi che azione e personaggi pulsino dello stesso ritmo della natura.

Certo, m'interessava raccontare il ritmo lento delle giornate estive che rotolano una dentro l'altra; l'ho fatto comprimendo la storia in due soli giorni. Mi ha aiutato molto il personaggio di Rosa, una contadina di grande carattere. E anche Emanuele, il giovane gay che si rivela essere il vero custode delle memorie famigliari.

Detto questo, il romanzo è anche un giallo a fosche tinte, foschissime: due bei delitti annunciati a pagina 1! Spero di tenere sulla corda i lettori fino alla soluzione del doppio enigma. Prometto un bel colpo di scena.


Nella tua opera un posto chiave occupa l'idea dell'assenza: la scomparsa irrimediabile di un essere amato o la perdita di qualcosa a cui era ancorata l'esistenza, con il corollario delle occasioni mancate e non più ripetibili, e il peso delle ferite del cuore che non si rimarginano.

Anche in questo romanzo l'assenza è centrale. Sono assenti fin dall'inizio, per un tragico scherzo giocato dal destino, i genitori di Elisabetta e Carlo; Carlo stesso è il grande assente. Emanuele ne è innamorato: proprio di Carlo o di quello che appare?

L'assenza alimenta i sentimenti, i rimpianti, rafforza lo spaesamento. L'assenza serve anche per concentrarsi, per capire nel profondo se stessi e, qualche rara volta, anche gli altri.


Anche in questo lavoro poni in risalto la deflagrazione della famiglia borghese (amata e, al tempo stesso, odiata), un luogo che si desidera come un estremo porto quando tutto sembra naufragare, ma che è pure una prigione da cui evadere per costruirsi un futuro possibile.

Aggiungo che in Prima di morire c'è anche il dolore per la perdita dell'innocenza, per la vita che passa. La casa dove si svolge tutta la vicenda è una specie di fortezza, o se vuoi un tempio, nella quale il tempo sembra annullato, incorporeo. Ed è per questo che, nonostante tutto, resta un amorevole rifugio.
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