recensione diVincenzo Patanè
Il lungo giorno finisce
Raramente si può vedere un cinema così autobiografico come quello di Terence Davies, che, a cominciare dalla splendida, straziante Terence Davies Trilogy, non è mai riuscito a staccarsi dai ricordi della propria vita.
Il lungo giorno finisce di fatto è il sequel dell'ottimo Voci lontane... sempre presenti. In quest'ultimo Davies rievoca la sua sofferta infanzia, caratterizzata dalla morte del padre - rude e manesco sia con la moglie che con i figli - che, pur nella sua tragicità, aveva però significato per la famiglia la fine di un incubo.
Qui Davies rievoca, attraverso un alter ego, il piccolo Bud, la sua adolescenza, il periodo per lui più bello della sua vita. Ora la madre colora la vita familiare, trasmettendo a tutti un palpabile senso di serenità, che trova la sua esaltazione nel canto (più di 50 tra canzoni e musiche!...): un momento di sublimazione corale in cui tutti sfogano le loro tensioni.
Per Bud è uno stato di pacatezza mai più ritrovato in seguito e che avrà un traumatico, irreversibile stop quando sentirà il suo cuore in subbuglio alla vista dell'atletico operaio. D'altra parte, Davies ha più volte dichiarato - in barba ad ogni discorso di orgoglio gay - che ha sempre sentito la sua omosessualità come una disgrazia, un'ineluttabile condanna per liberarsi della quale ha vanamente pregato Dio.
Ma in realtà Bud non è mai veramente felice, venato com'è di un senso di malinconia e di solitudine; tutto trova in lui una delicatissima cassa di risonanza: la repressione della dura vita scolastica, le angherie dei compagni, l'ossessiva educazione cattolica, l'amatissimo cinema che più di ogni altra cosa esalta le sue fantasie.
Frammentato in flashback collegati da semplici associazioni, l'universo, un po' claustrofobico, del film è offerto in uno stile rigoroso ma ostico. Le immagini - con una gamma coloristica che esalta il marrone, come le fotografie dell'epoca, e la mancanza di profondità che rimanda alle iconografie cristiane così presenti nell'immaginario di Bud - riescono a creare magicamente un passato nostalgico che, al di là del profondo senso di colpa che emerge, ha una sua intima poeticità e dà sottili, raffinate emozioni.