Tares et poisons. Perversions et perversité sexuelles

22 aprile 2005

Testo composito e interessante più per l'apparato documentario che include che per le teorie del suo autore il quale, a scanso di equivoci, chiarisce subito che "gli invertiti sono dei malati" (p. 5). Poi abbiamo un passo che pare quasi un'apertura lungimirante rispetto ad altri colleghi che considerano la pederastia in relazione solo alla prostituzione o alla violenza sessuale: Laupts (pseudonimo di Georges Saint-Paul) parla infatti di "amore anormale", che però è pur sempre amore, e sostiene che non bisogna credere che l'inversione sessuale sia tale solo se messa in pratica:

che l'amore rimanga o meno platonico, si ha inversione per il fatto stesso che esiste; essa designa dunque non un atto, ma una tendenza (p. 6).

In realtà si tratta solo di un segno dei tempi: lo sforzo di nosologizzare l'omosessualità cerca di oltrepassare l'atto fisico per medicalizzare un intero modo di essere, che non era più materia criminale in Francia dal 1791, per cui si cerca di ricolpevolizzarlo in senso strettamente medico.


Laupts passa poi in rassegna molto sommariamente varie teorie mediche sull'argomento, per arrivare alla sua eziologia. L'inversione non ha una causa unica, ma può essere conseguenza di:

  • malformazioni congenite o ereditarie;
  • influenze sociali, come accade spesso durante l'adolescenza, specie se passata in collegio (pp. 29-30), ma anche lo snobismo (!) può portare all'inversione (p. 10: è chiaro che pensa al dandismo, e al caso Wilde);
  • altre patologie occasionali, per esempio tubercolosi (e passi: era la malattia del tempo), ma bastano anche semplici reumatismi! (p. 8).

Nel primo caso si parla di invertis-né, negli altri di invertis d'occasion (questi ultimi dimostrano tra l'altro che l'inversione può essere contagiosa: p. 9). Per chi non avesse chiara la differenza, Laupts ricorre a un paragone significativo: i primi sono come i delinquenti, gli altri come gli assassini. Insomma non è che se ne esca mai bene, ma c'è comunque una certa differenza tra nascere disgraziati e non potersi quindi sottrarre a tale natura, o farsi scappare qua e là un delittuncolo, cosa che può capitare a tutti (Laupts ne è convinto: siamo tutti disgraziati dentro, è solo la società che ci trattiene). Nel secondo caso, assicura Laupts, se si interviene in tempo si può curare tutto. La differenza è rimarcata anche con il ricorso, rispettivamente, ai termini "perverso" e "pervertito".


Gli invertis-né sono dunque i disgraziati senza rimedio, per via di tare cerebrali (p. 14). Gli invertis-né sono donne mancate, quindi passivi ed effeminati (p. 13), mentre gli altri sono attivi e maschili. E quando gli invertiti fanno coppia, si mettono sempre insieme un invertis-né e un invertis occasional (p. 15).

Laupts si dice convinto che a determinare il sesso sia il cervello, sicché gli invertis-né devono avere qualcosa che non va a livello cerebrale. Infine offre la sua classificazione ordinata, valida per entrambi i sessi. Gli invertis-né possono dunque essere:

  • malformati, e allora sono "femminiformi" (cioè donne mancate) se sono maschi, "masculiformi" se sono donne;
  • non malformati, e allora possono essere sia come i precedenti (femminofili cerebrali), sia all'opposto (masculinofili cerebrali): in questo caso i maschi cercano maschi ancora più virili, le donne cercano donne più femminili.

Come si vede, il punto è che gli invertis-né non cercano mai altri invertis-né come loro. L'importante è preservare in qualche modo una forma di dualismo di genere.


Gli invertis d'occasion, analogamente, si dividono in "femminofili" (maschioni attivi che cercano passivi effeminati) o "masculinofili" (molto rari secondo Laupts: sono quelli che si prestano per soldi o che si danno all'inversione in seguito a traumi infantili). Lo stesso dicasi per i corrispettivi femminili.


Chiude il capitolo una brevissima rassegna geografico-storica intesa a dimostrare come "l'inversione sia esistita in tutti i tempi e in tutti i luoghi" (p. 38), ciò ovviamente non per dimostrare che è naturale, ma che è una malattia molto grave.


Nel capitolo II viene presentato un documento destinato a una certa fama: la "confessione" di un giovane italiano ventitreenne (di origine spagnola), da questi inviata a Emile Zola nella speranza che ne prendesse spunto per uno dei suoi romanzi. Zola non ne fece mai uso (temendo anche di essere accusato di essersi inventato tutto, come spiega nella prefazione) e passò il testo a Laupts, che lo sfruttò adeguatamente pubblicandolo prima su rivista, quindi in questo volume, opportunamente "censurato" mediante traduzione in latino dei passi più scabrosi. Infatti il giovane omosessuale non lascia nulla nella penna nel rievocare con dovizia di particolari la propria vita, dall'infanzia agiata alla sua carriera di seduttore (pare che fosse bellissimo). Racconta così come sedusse anzitutto un domestico (insistendo finché lui "bracas aperuit illudque mihi ostendit erectum...": Maurice al confronto è un romanzetto per educande...), e come poi "semen primum emisi" pensando a un bel palafreniere. Segue la sua grande storia d'amore sotto le armi (i passi in latino si fanno più frequenti...).

Non contento, il giovane, preso dall'irrefrenabile voglia (un tantino esibizionista qua e là...) di raccontare proprio tutto, recupera in un post-scriptum un'altra storia che aveva sottaciuto, quella con un precettore, ex capitano di cavalleria, con il quale perse la verginità a sedici anni. Il compare ne aveva quaranta abbondanti e una buona esperienza: sembra infatti che gli abbia insegnato proprio di tutto! Un amore un po' rude ma appassionato li lega ancora, anche se il giovane ormai piuttosto disinibito non manca di concedersi ad altri ("j'avais besoin de distractions"...: p. 76). In un successivo post-scriptum racconterà poi di essere rimasto colpito persino dall'impiegato delle poste dove era andato a recapitare la lettera per Zola, tanto da essere tornato a casa a scrivere di corsa altre lettere per aver la scusa di tornare da lui! Suo unico rammarico è quello di essere di costituzione troppo delicata per permettere al suo cropulento amante di "possederlo interamente" (p. 82).


Si tratta di un documento senza dubbio molto interessante, ma non contiene solo i dettagli divertenti e a loro modo vitali su cui si siamo soffermati. Lo scrivente racconta anche delle sue angosce, delle sue depressioni, della sua solitudine: una volta innamoratosi, bambino, delle eroine della Rivoluzione Francese e dei poemi omerici (non c'erano ancora i cartoni animati giapponesi...) è stato poi tutto un crescendo di preoccupazioni e di sogni di femminilità (il suo più grande trauma, racconta, è stato vedersi per la prima volta vestito da maschio). Viste le convinzioni mediche del tempo, non sorprende leggere che si considerava un mostro, affetto da una malattia vergognosa di cui riusciva a dimenticarsi solo nei momenti di estasi. Il punto è proprio che confessioni come queste si inseriscono spontaneamente in un circolo vizioso nel quale la medicina insegna a riconoscere i tratti di una malattia che non esiste, e chi scrive finisce con l'interpretare spontaneamente la sua biografia proprio alla luce di quelle indicazioni, offrendo così al medico l'occasione di rimarcarle.


E' appunto ciò che fa Laupts nell'ultima parte del capitolo, dove ci consegna la sua interpretazione di queste memorie, più che ovvia viste le premesse del capitolo precedente: si tratta di un caso lampante di "invertis-né femminiforme".


Nel capitolo successivo viene offerto un altro singolare "caso clinico", quello di Oscar Wilde, di cui viene ricostruito il processo tramite il ricorso a reportage del tempo. Laupts lascia poi spazio al lungo commento di Raffalovich (pp. 125-160), per offrire infine la propria diagnosi: Wilde è un invertis d'occasion divenuto tale per influenze sociali ed egoismo. Per supportare le proprie teorie ricorre anche a una lettura molto personale de Il ritratto di Dorian Gray.


Nel capitolo IV Laupts offre un compendio delle teorie che ritiene più significative sull'argomento dell'inversione, riassumendo le opinioni di Dimitri Stefanovski, Krafft-Ebing, Moll, Lacassagne, Arrufat, Dessoir, Raffalovich e Leyludir, per ribadire infine le proprie teorie, sulle quali torna anche nel capitolo V, dove offre i suoi consigli terapeutici (ipnotismo, castità, matrimonio, "terapie morali", ecc.).

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