recensione diMauro Fratta
Izo
Si tratta dell'unico romanzo pubblicato da Pascal de Duve (1964-1993), il quale del resto, nella sua breve vita stroncata dall'AIDS, non ebbe modo di pubblicare altra narrativa (un frammento del suo secondo romanzo uscì dopo la morte); furono stampate poi le strazianti pagine diaristiche del suo ultimo viaggio, poco prima che la malattia lo uccidesse, sotto il titolo di Cargo Vie; e la famiglia curò la pubblicazione di alcuni scritti postumi. Questo giovane studioso, di famiglia nobile belga in cui c'era perfino un premio Nobel (il gesuita Christian de Duve, zio del Nostro, premio Nobel per la medicina), era un bel ragazzo gay, ma anche un poliglotta culturalmente e spiritualmente inquieto: nelle peregrinazioni di Izo da una religione all'altra e nella sua predilezione per gl'idiomi più esotici lo scrittore, in punta di penna, mette in burla anche sé stesso.
L'intera opera d'altronde si presenta soffusa d'un sorriso un po' scherzoso e un po' complice; tutto vi scorre via lieve, a passetti veloci e leggeri, attraverso una Parigi piena di soggetti curiosi, d'incontri amichevoli, vissuta e amata nei suoi particolari più semplici, umili ma simpatici. E il francese dell'autore, ricchissimo, mercuriale, zampillante e gioioso, rende in modo icastico l'idea d'un amore invincibile per la vita di là dalle angustie che le religioni, le ideologie o le convenzioni possono creare nel cuore dell'uomo.