recensione diDaniele Cenci
Izo
Un "occasionale Charlot" dal nome impronunciabile (abbreviato in Izo), orfano del suo passato, si materializza dal nulla (come il Piccolo Principe) nel giardino del Luxembourg.
Inizia a esplorare in lungo e largo la Ville Lumière, simile a un pinguino disorientato "goffamente camuffato da cittadino fuori moda". Si smarrisce nel tran tran quotidiano quasi fosse un labirinto onirico. Con una fame insaziabile di parole e di cose, e il desiderio segreto di rintracciare i fili di una perduta memoria, ammalia con le sue disarmanti domande tutti gli esseri in cui si imbatte.
Poi, all'improvviso, scompare (liquefacendosi) e lascia un vuoto incolmabile in chi ha imparato ad amarlo. Il personaggio, che può richiamare Perelà (giocoso omino di fumo del Palazzeschi futurista), mostra l'influsso di altre prodigiose invenzioni della letteratura d'oltralpe: dai flaubertiani Bouvard e Pécuchet al Monsieur Tete di Valery, da Piuma e Zazie di Queneau al Monsieur Songe di Pinget. Ma in fondo Izo è soprattutto la surreale controfigura dell'enciclopedico autore, curiosissimo di un mondo che intuiva di dover presto abbandonare proprio come il suo enigmatico amico in bombetta.
"Nella biblioteca dei nostri ricordi c'è un pannello segreto dietro il quale si nasconde l'immensa sala degli archivi dimenticati. Può sempre succedere che il pannello giri e che ci conceda la magia di una reminiscenza inattesa": il libro, scrigno sapienziale intessuto della stessa materia dei sogni, è il frutto saporoso dell'irrefrenabile fantasia d'un fanciullo, scomparso prematuramente come il dio in miniatura di questa 'cosmicomica' senza tempo.