recensione diVincenzo Patanè
Streamers
"Streamers" (letteralmente "banderuole") sono i paracadutisti che cadono irrimediabilmente verso il vuoto, trascinati da una forza irresistibile, perché non si è aperto il paracadute e lasciano una scia, "stream" appunto. Nel film, streamers sono questi giovani che aspettano di imbarcarsi per il Vietnam, in una guerra di cui a loro non importa niente.
I quattro bravissimi protagonisti - premiati tutti coralmente alla Mostra di Venezia - vivono claustrofobicamente nella baracca, in un'atmosfera elettrica, piena di aggressività e di paure, che si fa sempre più surriscaldata fino a sfociare nella tragica conclusione, preannunciata dal tentato suicidio di Martin.
Se per buona parte della storia, Roger riesce a stemperare il nervosismo di Billy, dalla solida cultura provinciale, infastidito dalle proposte di Ritchie, è Carlyle a trasformare le schermaglie verbali in un gioco al massacro. La sua aggressività fa da miccia esplosiva a tutti conflitti latenti: razziali, sociali e soprattutto sessuali, poiché l'omosessualità di Ritchie nega il culto della virilità tipico dell'esercito.
Nel film, però, non c'è una presa di posizione nei confronti dell'omosessualità, che nella storia funge soprattutto a scatenare astio fra i personaggi, attirandoli come il miele attira gli orsi in un gioco sadomaso in cui dietro il rifiuto compare il desiderio del sesso, non a caso argomento principe delle conversazioni. Ma sesso non ce n'è, solo qualche corpo nudo sotto la doccia.
Molto teatrale nella sua impostazione, il film - diviso in tre momenti separati da dissolvenze incrociate - si svolge in un unico luogo, con un efficacissimo gioco di macchina da presa.
Molto parlato, con una straordinaria violenza verbale, riesce ad evidenziare le nevrosi di una società che sa uccidersi già prima di andare in guerra. Ma è anche intessuto di molti luoghi comuni e di quell'isterismo tipico del teatro americano.
Così, la cosa migliore sono i straordinari titoli di testa: un'esercitazione militare violentemente ritmata nella nebbia, quasi un allucinante balletto di marionette in controluce. E la presenza nella camerata di un ragazzo coricato sulla branda che non proferisce mai parola, simbolo di una società che sta a guardare senza far niente.