recensione diVincenzo Patanè
Tropical Malady
Ricco di premi - da Cannes al ToGay di quest'anno - ecco nelle sale Tropical Malady, del thailandese Apichatpong Weerasethakul. Il film, suggestivo e intenso, è scandito in due tempi del tutto differenti, uniti da flebili corrispondenze.
Nel primo, ambientato in una vivace città, c'è il fresco amore fra il soldato Keng e Tong, un ragazzo di campagna. Nel secondo, introdotto da nuovi titoli di testa, Tong è scomparso e la scena si trasferisce nella giungla, un posto magico dove può accadere di tutto, tra mistero e orrore.
Qui - in uno spazio contraddistinto per lo più dal buio e da forti, pregnanti sonorità - Keng si aggira nella notte fra fantasmi e rumori inquietanti, fra tigri e presenze inspiegabili. Un film dunque coraggioso e molto singolare, dalle immagini misteriose e antinarrative che spiazzano lo spettatore non cinefilo. Ma la sua liricità è incontestabile quanto densa, leggibile com'è su più livelli, dall'opposizione civiltà/natura a quello più semplice che vede il buio e il disorientamento dopo la scomparsa della persona amata.