L'eredità di Monique Wittig

19 luglio 2005

Pubblicata da University of Illinois Press e curata da Namascar Shaktini, On Monique Wittig - Theoretical, political, and literary essays è la prima antologia in lingua inglese che raccoglie vari contributi critici sull'eredità creativa lasciata dalla geniale e controversa scrittrice lesbica (1935-2003) nata in Francia e poi emigrata negli Stati Uniti.

La curatrice sintetizza nell'introduzione il suo apporto essenziale:

"Ci ha fatto vedere ciò che non avevamo visto prima - che l'eterosessualità è un regime politico, che le categorie del sesso, uomo e donna, sono inerentemente oppressive, e che l'appropriazione maschile dell''universale' è un atto criminale".


Il libro si apre con tre preziosi testi della stessa Wittig: il manifesto "Per un movimento di liberazione delle donne" del 1970 (firmato insieme a Gille Wittig, Marcia Rothemberg e Margaret Stephenson; e le postille ai propri romanzi Le guerrigliere e Il corpo lesbico.


Seguono i saggi di nove studiose, selezionati dalla curatrice

"per la loro focalizzazione sul rivoluzionario progetto epistemologico di Wittig: investigare ed esporre il rapporto di oppressione tra genere sessuale e soggettività nel linguaggio e nella cultura".


Il manifesto femminista francese è di poco precedente alla clamorosa azione pubblica davanti all'Arco di Trionfo di Parigi, che il 26 agosto 1970 inaugurò simbolicamente le lotte del movimento, e alla quale Wittig partecipò portando uno striscione con la scritta "Un uomo su due è una donna".

Nel manifesto la situazione delle donne viene analizzata in termini di economia politica, come classe non ancora liberata dal lavoro servile feudale o da una forzata divisione del lavoro. Divisione che, sostenuta dal marxismo classico come "naturale", viene qui fortemente contestata e legata al concetto patriarcale di differenza sessuale.

Wittig vede nel sottrarsi delle donne alla struttura familiare uomo-donna ("senza di noi non c'è famiglia"), e nel crollo di questa struttura, la chiave di un profondo cambiamento e della redistribuzione della ricchezza, insieme alla sconfitta del sessismo.

Una rivoluzione messa in atto da un movimento di donne, perché "ci si libera da sé", quando i soggetti coincidono con se stessi e partono da se stessi: "Nessuna donna è al di sopra delle donne. Siamo tutte coinvolte".


Le osservazioni letterarie di "Wittig su Wittig" mostrano sia la sua grande capacità di porsi inventivamente da un punto di vista critico, sia la sua colta abilità nell'incrociare il linguaggio letterario e poetico con quello visivo, teatrale, cinematografico; in breve, il suo sapiente uso dell'intertestualità.

Leggere Wittig che racconta la propria scrittura è altrettanto affascinante che leggere le sue opere, è come entrare nel laboratorio di un'alchimista e scoprire i segreti delle sue operazioni magiche.

Acuto e illuminante, lo svelamento delle strategie narrative di Le guerrigliere (1969) - un'"epica moderna" che è anche una utopia lasciata aperta al dubbio dell'accadimento - si accompagna ad una rilettura (finora inedita) del romanzo Il corpo lesbico (1973), a proposito del quale Wittig riferisce:

"Con Il corpo lesbico ho affrontato la necessità di scrivere un libro totalmente lesbico nel tema, nel vocabolario, nella trama, dalla prima pagina all'ultima, dal titolo alla retrocopertina.

Mi trovavo dunque in un doppio vuoto. Uno era il vuoto che tutte le scrittrici devono fronteggiare quando cominciano un libro. L'altro vuoto era di natura diversa. Era l'inesistenza di un libro simile fino ad allora. Non ho mai vissuto un periodo più stimolante".

Dopo la prosa nitida e brillante, quasi scolpita nella poesia, al contempo lucida e visionaria di Wittig, occorre imporsi una certa autodisciplina per entrare nel linguaggio decisamente più accademico dei saggi "su Wittig": fatica ricompensata da interventi intelligenti ed accurati, che mettono a fuoco aspetti importanti del suo lavoro e soprattutto delle sue finalità politiche ed espressive.


Lo scritto di Teresa de Lauretis "Quando le lesbiche non erano donne" sottolinea l'impatto teorico dell'ormai famosa negazione concettuale wittighiana. L'enunciato che "le lesbiche non sono donne" (da un punto di vista economico, politico e ideologico), è stato e continua ad essere traumatico e scandaloso per molte.

De Lauretis esamina il ruolo strategico di questo enunciato, che tende ad una dis-identificazione dal "pensiero eterosessuale" per costruire invece un soggetto lesbico autonomo, in grado di forgiare la propria realtà individuale e sociale

"con una pratica cognitiva basata sull'esperienza vissuta del corpo".

Nasce così "la figura di un soggetto che eccede la sua condizione di soggezione, un soggetto in eccesso", e che per de Lauretis si delinea come un affascinante enigma "negli interstizi della rappresentazione".


In "Universalizzare il lesbismo materialista", Diane Griffin Crowder chiarisce le radici di quel femminismo francese che, attraverso le analisi di Christine Delphy, Nicole-Claude Mathieu, Colette Guillaumin e della stessa Wittig, ha gettato le fondamenta di una teoria lesbica per nulla incline a separare il genere dal sesso (al contrario della sua interpretazione americana) e che proprio per questo si colloca in "una posizione politica, piuttosto che essenzialista".

Griffin Crowder spiega "come funziona il cavallo di Troia di Wittig", sottolineando che per la scrittrice

"l'ordine simbolico, che il marxismo relegava alla sovrastruttra, è in se stesso una forza materiale nella società, (...) una categoria politica altrettanto fondamentale dell'economia o di altri concreti rapporti sociali";

e che non solo i suoi testi teorici, ma anche i suoi romanzi

"dimostrano come il linguaggio mantiene e perpetua lo sfruttamento fisico delle donne e come può essere cambiato".

Nello stesso modo,

"per una materialista come Wittig, il genere sessuale non è affatto un arbitrario insieme di ruoli o di aspettative sovraimposti al sesso biologico; questi ruoli e queste aspettative conseguono invece in maniera logica e inevitabile dallo sfruttamento materiale della classe 'donne' da parte della classe 'uomini' - ed è questo sfruttamento, ed i benefici materiali che gli uomini ne derivano, a determinare sia il sesso che il genere, il primo essendo usato (come la pelle nera è stata usata dai proprietari degli schiavi) come una conveniente giustificazione 'naturalizzante' per imporre il secondo".


Griffin Crowder
esemplifica il suo discorso con una rilettura del romanzo Virgile, non (1985), nel quale Wittig, che qui è nello stesso tempo narratrice e personaggio, allestisce una Divina Commedia dove

"ogni girone dell'inferno de-familiarizza la vita eterosessuale, mostrandola da un punto di vista lesbico".


Linda M. G. Zerilli
, con "Una nuova grammatica della differenza: la rivoluzione poetica di Monique Wittig", illustra la rottura operata da Le guerrigliere mediante "l'arcaico linguaggio" di un'"immaginazione radicale" e lo "strano uso" del pronome "elles", che diventa un "fantastico universale", un nuovo luogo enunciativo "da cui parlare e agire in concerto".

Vera e propria "macchina da guerra", il testo esplode distruggendo l'"ordinario", il normativo, lo stesso contratto sociale eterosessuale insieme ai suoi vecchi arnesi linguistici.



Erika Ostrovsky
, in "Trasformazione dei paradigmi del genere sessuale e del genere letterario nel romanzo di Monique Wittig", traccia un profilo della coraggiosa e tenace opera di renversement, di sovversione, perseguita dalla scrittrice a partire da L'Opoponax del 1964, e culminante in un mondo narrativo "totalmente privo di maschi", percorso da continui neologismi, e dove

"tutti gli esseri umani sono femmine, come lo sono le favolose creature e le figure del mondo mitologico".

Un lavoro di trasmutazione, conclude Ostrovsky,

"ammirevolmente risultante in una grande quantità di varianti altamente immaginative e innovative, che cambiano da un'opera all'altra, dimostrando le apparentemente inesauribili capacità creative a sua disposizione".


Jeannelle Laillou Savona
, in "Il viaggio di Chisciotta: come cambiare il mondo e de-generare il palcoscenico", scava in profondità nelle tecniche di rappresentazione della commedia di Wittig Il viaggio senza fine (ideata nel 1979 e messa in scena nel 1984), ironica riscrittura lesbica del capolavoro di Cervantes.

Savona risale alla situazione del teatro femminista francese degli anni Settanta, in cui il lesbismo veniva ignorato (con l'unica eccezione della commedia La vie singulière d'Albert Nobbs, allestita nel 1977 da Simone Benmussa), ma anche alla "spettacolare crisi" che nel 1980 provocò la chiusura della rivista "Questions Feministes", abbandonata dalle lesbiche radicali.

La genesi e gli ingredienti dell'unico testo teatrale wittighiano pubblicato vengono attentamente vagliati, dalla collaborazione creativa con l'attrice/regista/mima Sande Zeig, alla tecnica "cinematica" di montaggio dei quindici episodi, che non solo sono completamente privi di unità di luogo e di tempo, ma nei quali con l'azione è disgiunta dal sonoro registrato. Una dissociazione anticonvenzionale tra parole e gesti che, come osserva Savona, nelle intenzioni di Wittig doveva spingere le spettatrici

"a concentrarsi sui segni che fanno l'essenza del teatro, i corpi delle attrici e la voce".

Questa ed altre strategie di scena

"rendono Il viaggio senza fine un'ambiziosa commedia epica, la cui complessità estetica richiede attenzione e riflessione".


Namascar Shaktini,
in "La mente critica e Il corpo lesbico", riassume la ricezione del romanzo di Wittig nei circoli accademici nordamericani.

Il suo saggio rileva sia gli equivoci che le positive intuizioni suscitati dai "mostruosi attributi" di un'opera che gioca violentemente con la con-figurazione,

"moltiplicando le identità della lesbica e scomponendone e ricomponendone il corpo in 110 poemi in prosa".

Shaktini osserva:

"Sebbene il lesbismo come energia, desiderio, pratica o situazione sia senza dubbio esistito ovunque, solo di recente esso è arrivato ad esistere come parola/concetto. (...)

Poiché il corpo lesbico non è una entità come un albero, può essere (ed è stato largamente) negato.

Quando gli uomini non hanno completamente negato il lesbismo, lo hanno mostruosamente distorto. (...)

Dunque il punto di vista del lesbismo fornisce la posizione più radicale dalla quale produrre una critica del fallogocentrismo".

Critica, questa, che Wittig implacabilmente conduce, trasmettendo a chi legge la consapevolezza che l'atto di scrivere è in sé anche un atto di de-scrivere e di ri-scrivere.



Dominique Bourque
, nel saggio "Sovversione del dialogo nel romanzo di Wittig", evidenzia come l'espediente dialogico venga applicato in modo assolutamente originale in due direzioni:

"la prima coinvolge l'iscrizione dei soggetti nel linguaggio attraverso i pronomi, e la seconda implica l'iscrizione dei loro rapporti attraverso l'atto della narrazione".

Se L'Opoponax sceglie il pronome indefinito francese "on", ed abolisce

"la frontiera tipografica tra le parole della voce narrante e le parole dei vari personaggi",

Le guerrigliere parlano e si ascoltano a vicenda in "dichiarazioni attive", partecipando tutte al "grande registro" in cui "nessuna singola voce domina le altre".

Il corpo lesbico, riformulando radicalmente il soggetto amoroso, confonde le voci delle amanti in modo che nessuna diventi un oggetto dell'altra, perché "ciò che accade tra loro è intessuto nel loro essere".

In Virgil, non è invece il soggetto politico a venire riformulato nel personaggio "Wittig", che rappresenta un'autrice anti-eroica, fallibile, la quale

"esiste nello stesso mondo degli altri personaggi, aperta ai loro tentativi di dialogo e alle loro critiche, insulti, attacchi".


Concludono il volume Catherine Rognon Ecarnot con "Politica e poetica del travestimento nel romanzo di Wittig", e Marie-Hélène Bourcier con "Wittig la Politique".

Quest'ultimo testo (alludendo nel titolo al racconto di Wittig "Paris-la-politique"), raccoglie un suggerimento di Teresa de Lauretis e sceglie di parodiare il romanzo Virgil, non per raccontare l'esperienza di tradurre in francese The Straight Mind, la raccolta di scritti teorici di Monique Wittig pubblicata in inglese nel 1992; ovvero,

"cosa significa tradurre in francese un'autrice francese vent'anni dopo, quando il contesto politico della sua opera è radicalmente cambiato".

Si tratta infatti di una esperienza inseparabile dalla necessità di addentrarsi nei meandri della politica femminista e lesbica degli anni Settanta-Ottanta e in un altro tipo di gironi infernali, quelli delle polemiche lesbofobiche e del prevalere del "discorso psicoanalitico" attraverso la "troika Cixous-Kristeva-Irigaray".

Dal dialogo tra la traduttrice e la sua Manastabal, cioè la sua guida nei labirintici conflitti tra donne, emergono le ragioni dell'attuale invisibilità del femminismo materialista e dell'esilio di Wittig negli Stati Uniti.



Dunque, significativamente, l'antologia si chiude su una nota guerrigliera, lasciando in chi legge la nostalgia amara di un paradiso mai trovato, piuttosto che perduto, insieme alla nostalgia dolce ed ispirante di una figura come Monique Wittig e della sua inaddomesticabile, irriducibile, rivoluzionaria utopia.

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titoloautoredata
Monique Wittig: il corpo lesbicoNadia Agustoni01/05/2005