La terza volta delle principesse azzurre

22 luglio 2005

Uno dei piaceri di essere - come nel mio caso - autrice di una delle storie pubblicate nell'antologia Principesse Azzurre 3 - Racconti d'amore e di vita di donne tra donne, consiste nel fatto di esserne anche lettrice.

Ogni volta, finché non viene stampato, non so come saranno gli altri apporti né che fisionomia avrà la raccolta, e vivo anch'io, come tutte le altre lettrici, la suspence dell'uscita del libro, la sensazione di avere tra le mani una novità da scoprire. È quindi prevalentemente da un'ottica di lettrice che scrivo queste righe.

L'introduzione della curatrice Delia Vaccarello, "Principesse messe a nudo", ha chiaramente ispirato all'illustratrice Marlène Damonte l'immagine della copertina, ironica e fiabesca, in cui una donna vestita d'azzurro in groppa ad un cavallo dall'occhio tra furbo e meravigliato invita al viaggio amoroso, sullo sfondo di un castello lontano, un'altra donna in abito rosa e viola.

La matita di Damonte ha risposto al richiamo dell'immaginario lesbico in modo giocoso, regalandoci un sorriso; una reazione imprevista e piacevole, dopo le copertine delle due precedenti antologie in cui una grafica "simbolica" stilizzata affidava l'attrazione solo ai colori vivaci.

Mi dilungo sulla copertina, prima che sul contenuto del libro, perché essa è stata oggetto di un sondaggio di opinioni sul portale web www.listalesbica.it: un evento assolutamente inedito nella storia della letteratura lesbica e che personalmente ho trovato piuttosto divertente, a prescindere dai commenti sia favorevoli che contrari.

Afferma Vaccarello nell'introduzione:

"L'antologia che giunge al suo terzo appuntamento si propone di 'svegliare' chi legge e chi scrive, di dare una piccola scossa a quelle parti di noi che languono nel torpore.

E di farlo disegnando un universo in cui cambia molto (e non semplicemente il genere del principe) se in primo piano ci sono protagoniste femminili 'deste'".

I termini di questo cambiamento sono visibili in tutte e tre le antologie nella ricca gamma di contributi individuali: molto diversi, ma tutti ugualmente e generosamente concorrenti nello s-prigionamento di un immaginario che esce dai margini per occupare il centro del discorso.

E la tensione inventiva di questa scelta, lungi dal diventare rituale, si è progressivamente approfondita.

La raccolta comincia dalla coscienza lesbica nell'infanzia, ritratta da "Un'amicizia di ferro" di Sara Zanghì, dove due bambine, Ginetta e Tedda, scoprono insieme, condividendolo reciprocamente, il mondo del desiderio amoroso e della sessualità: cinquant'anni dopo, l'occasione di ritrovarsi ancora conclude provvisoriamente il racconto, lasciandolo nello stesso tempo aperto.

Dal "neorealismo magico" di Zanghì si passa all'auto-ironia di "Acqua", firmato dalla regista Gabriella Romano, umoristica rappresentazione di una "swinging single" quarantenne alle prese con l'irrompere degli odiati sentimenti nella disinvolta routine della sua vita.

Le differenti età del lesbismo sono il tema di "Trinità" di Lidia Ravera, un'anti-storia dalla tessitura non convenzionale, della quale si coglie pienamente la dimensione soltanto nell'epilogo.

"Iniziazione", di Barbara Alberti, recupera con spirito caustico lo stile dei carteggi ottocenteschi tra fanciulle di buona famiglia, per creare un testo che, accostando innocenza e impudicizia, si misura con la tradizione del "romanzo libertino".

In "Cuori d'inverno", di Sandra Petrignani, la vicenda di Marina e Anna prende avvio proprio da dove Sara Zanghì aveva interrotto quella di Ginetta e Tedda: il ricongiungimento a distanza di trent'anni con il primo amore, distrutto dalla maldicenza di un piccolo paese. Qui i destini delle "principesse" si sono traumaticamente separati, e così anche le esperienze, i vissuti... ma non tutto è perduto, anche se tutto è da ricostruire.

Il momento della rivelazione del lesbismo è rievocato da Maria Rosa Cutrufelli in "La Regina delle nevi", fotografia di una classe di ginnasiali all'inizio degli anni Sessanta e dell'omofobia nell'ambiente scolastico.

"La coscienza di Zero" di Delia Vaccarello disegna un paesaggio aperto e luminoso come scenario naturale di un incontro fra elfe moderne, alternando la registrazione dei pensieri alle sequenze narrative.

Lascio il mio racconto "Gondoliera" alla totale percezione di chi legge, aggiungendo soltanto che ho voluto fare di questo personaggio una metafora dell'amore lesbico e della passione che lo sostiene, rischiando anche un "peccaminoso" romanticismo.

La scrittura di A. S. Laddor, in "Ostaggi freschi", insegue registri multipli, decostruendo trama e personaggi, realtà e immagini; la figura di Proza è, più che protagonista, una deuteragonista animata da una "fame onnivora", che soddisfa in progressive allucinazioni, in segreto.

Valeria Viganò, in "La ragazza dell'orecchio", organizza lo spazio della sua narrazione nell'ambito ristretto di un giardino, amplificato dalla luce sottile che illumina ogni dettaglio, compreso quello della parola. In questo spazio il punto focale è l'avvicinamento tra due donne, che si tramuta in Evento in sé, un evento quasi radiografato.

Fiorella Cagnoni, conosciuta per il suoi "gialli", in "È il primo nome che..." crea un curioso meccanismo narrativo con frammenti autobiografici, un "duplice scivolamento onirico" attraverso il viaggio.

"Non voglio morire da angela" di Cristina Arcuri è un noir perturbante che affronta il tabù dell'incrocio tra amore e morte, in una "angelica" trasfigurazione del conflitto fra paura e desiderio.

"Duetto per voce sola" di Paola Presciuttini e "L'estate scorsa giù al ghetto" di Margherita Giacobino introducono per la prima volta nella serie di antologie delle "Principesse Azzurre" la presenza del testo teatrale, accompagnata da una nuova appendice bibliografica.

Mentre Presciuttini mette in scena un monologo in cui Alice Toklas ricorda la sua vita con Gertrude Stein, Giacobino rende uno scanzonato e irriverente omaggio alla commediografa Jane Chambers orchestrando una surreale vacanza lesbica, affollata da personaggi irresistibilmente comici.

Unico racconto scritto "a quattro mani", "Lapsus" di Clementina Guerra e Marzia Pacis descrive una convivenza lesbica a lungo termine ormai arrivata al capolinea, nella quale l'alienazione affiora attraverso l'unico "movimento scontrollato", l'involontario scivolamento del linguaggio nell'errore.

In "Toccami" di Iceblues, un soggiorno alle Terme è il contesto in cui si sviluppa una sensualità terapeutica che assume più rilievo di quella amorosa.

"Senza cielo" di Marc de' Pasquali contrappone l'improbabile possibilità di adozione di una bambina albanese da parte di due lesbiche "ritenute inadatte ad accudire fantoline", alla reale e tragica vicenda di Marijeta, massacrata a dodici anni: una spietata denuncia di una società sadica e indifferente, che con la sua rigidezza razzista nega ogni speranza.

"Tigre adorata" di Patrizia Zappa Mulas restituisce alla memoria un'affascinante seduttrice, incastonata in suggestive atmosfere romane e rievocata in un dialogo sul gioco a volte crudele dell'amore.

"Ogni vertebra della tua schiena" di Giulia Balzano fonde l'esperienza dello scavo archeologico ad un altro genere di scavo, quello nell'emozione, nel meandro delle sensazioni e del dolore che seguono l'abbandono.

"Azzurra", di Vanessa Ambrosecchio, chiude l'antologia con i toni lievi della fiaba.

Qui la Principessa è letterale, e si chiama Azzurra. Rifiutando le lusinghe dei prìncipi, smette di avere paura degli specchi quando un'altra donna scioglie l'incantesimo.

Giulia Argnani e Felicitas Nusselein intervallano i racconti con i loro fumetti: tra "Perfect Girl" di Argnani e la serie "vintage" di Nusselein, disegnata agli inizi del movimento lesbico, intercorrono più di vent'anni, ma la fragranza è la stessa. Se "qualcosa è cambiato", è la raffigurazione intimistica, di coppia e quotidiana del lesbismo, invece della sua dimensione politica e collettiva.

Come ogni lettrice, ho le mie predilezioni e le mie idiosincrasie. Riconosco però a tutte le autrici il merito di essersi coraggiosamente impegnate non tanto in un genere letterario, quanto in un laboratorio alchemico di letteratura che potrei definire provocatoriamente de-genere, perché presuppone la rivendicazione di una soggettività negata e colpita da uno stigma sociale che la pone al di fuori della cultura condivisa e del suo simbolico.

E la sua trasformazione da rivendicazione ad affermazione piena, basata sulla libera espressione dell'"autenticità del proprio essere", come scrive Delia Vaccarello, attraverso una volontà creativa corale e plurale che parla intertestualmente di solidarietà, di convergenza di intelligenze, ispirazione e linguaggi.

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