recensione diDaniele Cenci
Mondo queer. Cinema e militanza gay
A muovere le acque stagnanti di certa cripto-critica autoreferenziale, ecco piombare come un fulmine a ciel sereno (o come un elefante imbizzarrito nei salottini tirati a lucido della "intellighenzia frocia" più conformista) un "guastatore'" di razza che i lettori più attenti avevano avuto modo di apprezzare per l'azzeccato dossier di Nocturno "Quei bravi ragazzi" (nov. 2003), dedicato ai film a tematica omosessuale.
Bocchi, che si conferma disincantato cinefilo, passa al setaccio la migliore bibliografia sul cinema e la teoria queer, e dissemina il suo saggio di mine vaganti, riabilitando pellicole misconosciute e ponendone sotto 'osservazione clinica" altre che hanno suscitato un sospetto "consenso" universale col loro stemperato buonismo.
Lo stile sa esprimere tutta l'insofferenza verso l'integrazionismo e l'ansia di normalizzazione che sembra prevalere anche in molte realtà omosessuali militanti, dopo la benefica ondata creativa degli anni '80-'90.
Tra i capitoli più spiazzanti segnalo quelli dedicati alle icone e agli stereotipi "froci" e "virili", dove viene impietosamente indagata l'omologazione sociale della cultura dominante che cerca di livellare (quasi sempre con successo) gli immaginari delle minoranze: il "Queer d'arte", il "Drag Queer", l'"adolescente queer", il "queer duro", il "queer vittima", il "queer militante", il "queer malato".
Il saggio è suggellato da una formidabile conversazione con Bruce LaBruce, uno dei cineasti meno addomesticabili e più convincenti del New Queer Cinema.