recensione diMauro Giori
Gielgud's Letters
Che Gielgud fosse un grafomane lo si intuisce già dalla mole di questo volume, che pure rappresenta solo una scelta delle sue lettere (quelle qui presentate sono circa ottocento e sono la metà di quelle sopravvissute). Si tratta comunque di una lettura appassionante: per la sistematicità con cui Gielgud scriveva ai suoi numerosi corrispondenti, questo epistolario costituisce di fatto l'affascinante autobiografia di uno dei maggiori attori del '900. E lo si deve anche all'ottimo lavoro di cura editoriale di Richard Mangan.
Negli anni Gielgud fu sempre meno restio a parlare delle sue questioni sentimentali e delle complicazioni delle sue relazioni sentimentali, ma anche delle sue piccole imprese sessuali. Soprattutto nelle lettere indirizzate a Paul Anstee, che negli anni '50 fu suo compagno e gli rimase poi amico fraterno per tutta la vita, Gielgud racconta con divertito compiacimento le sue incursioni in locali gay ("mi scoprii nel giro di brevissimo tempo con le mani piene, ma non raccontare questi dettagli volgari") e cinema porno, le feste "della Nell" (Noel Coward), le sue conquiste e il fastidio di vedersi inopportunamente riconosciuto ovunque, anche quando avrebbe voluto decisamente passare per una persona qualsiasi...
Ma emergono anche questioni meno piacevoli legate alla temperie del tempo, e in particolare all'illegalità dell'omosessualità in Gran Bretagna: vi sono ad esempio lettere amare sullo scandalo che lo travolse nel '53 ("Ci sono anche cose per cui devo essere grato. Ad esempio, non credo che mia madre ne abbia colto appieno il significato, oppure è la più grande attrice della famiglia Terry"), o sul ricatto che subì nel '59.
Signorile a galantuomo con i suoi corrispondenti illustri, nelle lettere ai suoi amici intimi Gielgud si trasforma in una piccola serpe amante del pettegolezzo, capace di misurata perfidia nel valutare chiunque gli capiti a tiro (Greta Garbo? "Sono sicuro che si taglia i capelli da sola con le forbicine per le unghie").
Nelle sue valutazioni di spettacoli teatrali, film, musical e altro ancora si conferma uomo di gusto sopraffino, tanto che queste lettere sembrano quasi talora opera di un critico di professione. Si disegna così, tra serate da spettatore, incontri mondani e testimonianze di lavoro, una galleria infinita di personaggi più o meno illustri: Gilegud non fa mancare lodi ai colleghi che ammira né critiche salaci a quelli che hanno dato prove mediocri, si chiamassero pure Marlon Brando o Richard Burton. Ma emerge anche il quadro complessivo di un Gielgud amico generoso e premuroso, artista di inconsueta modestia e molto autocritico, complice ideale per ogni tipo di facezia.