recensione diVincenzo Patanè
Ti ho amata per la tua voce
Umm Kalthum, la più grande voce della canzone araba ed irrinunciabile punto di riferimento di quella cultura, è la protagonista di un delicato e poetico romanzo, in cui si ricorda il suo amore per le donne.
L'immagine di Umm Kalthum (il cui nome viene normalmente traslitterato in molte altre maniere, come Oum Koulsoum) è una delle prime che accolgono il visitatore in tutti i paesi di lingua araba, riprodotta com'è serialmente, quasi ossessivamente, sulle innumerevoli cassette. Ed infatti lì non c'è una sola persona che non conosca a memoria qualche sua canzone.
Proprio mentre anche qui le sue cassette cominciano a spuntare sui banchetti degli ambulanti maghrebini, è ora disponibile la traduzione italiana di Oum, il bellissimo romanzo di Selim Nassib, uno scrittore libanese francofono: Ti ho amata per la tua voce (edizioni e/o, L. 27.000). Un ottimo mezzo per avvicinarsi a questo personaggio straordinario, che ha saputo conquistare anche le generazioni più giovani, quelle che non hanno avuto la fortuna di ascoltarla dal vivo.
Affascinante sia per lo stile poetico sia per come sa magicamente ricreare la colorata atmosfera di una Cairo d'antan, il libro è molto particolare: si propone infatti come una finta biografia di Ahmad Rami, un poeta molto celebrato in quei paesi, che scrisse i testi di ben 137 delle 283 canzoni che dettero lustro alla prodigiosa carriera di Umm. Benché filtrata attraverso questo escamotage, la ricostruzione di Nassib è quanto mai attendibile e apre degli squarci interessanti su quel privato che la grande cantante cercò di occultare ai media, con la scusa che l'unica cosa veramente importante per tutti era la sua immagine pubblica.
La fama di Umm Kalthum raggiunse dimensioni enormi. Nel febbraio del 1975, i suoi funerali furono seguiti da più di 3 milioni di persone piangenti, oltre che da molti capi di stato; e tuttora, per ricordare la sua scomparsa, tutte le radio arabe trasmettono alcune sue canzoni alle 10 del primo giovedì di ogni mese. E proprio quest'anno Il Cairo le ha consacrato un museo - con fotografie, dischi, spartiti, gioielli ed oggetti vari - in un museo nel palazzo Al Manesterli, ai bordi del Nilo.
Si può sicuramente affermare che per una quarantina di anni l'intero mondo arabo fu nelle sue mani, grazie ad una forza trascinatrice che può lasciare perplesso il pubblico occidentale, i cui fenomeni di idolatria canora - si pensi ai Beatles o ai Take That - sono in realtà molto differenti, non sconfinando mai in un discorso di identità nazionale. Merito innanzitutto, ovviamente, della sua voce dall'incredibile estensione, capace addirittura di frantumare un bicchiere e che, si dice, trovasse maggiore slancio nell'hashish o nell'oppio di cui era imbevuto il velo che portava sempre nella mano destra.
Al successo contribuì però non poco anche la potente presenza scenica: pur ieratica nel controllo e ripetitiva nei gesti misurati, Umm sapeva infatti intrattenere un rapporto fortemente teatrale, grondante di pathos, col pubblico. Questo, letteralmente ipnotizzato, si scatenava per un semplice cenno del capo o delle spalle o, più di ogni altra cosa, per i vocalismi e le improvvisazioni: si racconta come una volta Umm cantò un verso sviluppando la melodia in ben 52 maniere differenti. Così si veniva a creare ciò che in quella cultura viene definito il tarab, un momento di intensa spinta emozionale: un abbandono collettivo, spirituale e fisico, che coinvolge nello stesso momento il cantante e chi ascolta.
Le canzoni, che durano fino ad un'ora, sono per lo più d'amore, e sottolineano con enfasi i moti del cuore: le voluttà, le trepidazioni, la disperazione, le esaltazioni. Ma non mancano i testi d'impronta religiosa, con versi tratti dal Corano, o quelli nazionalisti. La vita di Umm è infatti strettamente collegata a quella dell'Egitto, come è sottolineato dal romanzo, scandito in quattro parti, coincidenti con diversi momenti della giovane storia di quello stato.
Famosa con gli appellativi di "Stella d'Oriente" e di "Usignolo del Delta", Umm Kalthum nacque a Tamaya al-Zahariyya, un paesino del delta del Nilo, nel 1899 (secondo altre fonti nel 1904). Morì al Cairo nel 1975 ed è lì seppellita, nella "città dei morti". Tra le canzoni, molte delle quali oggi reperibili anche in compact disc, ricordo: "Se perdono", "Sei rimasta dentro di me" e "I tuoi occhi mi hanno riportato ai giorni andati". Umm girò anche sei film di genere sentimentale-musicale, non particolarmente significativi ma all'epoca di enorme successo; uno di essi - Widad (Desiderio) di Fritz Kramp - fu presentato al Festival di Venezia nell'edizione del 1936.
Il suo esordio coincide con gli anni immediatamente successivi all'indipendenza, nel 1922. Dopo essere riuscita ad entrare a corte dei re Fuad e Farouk, Umm fu poi cooptata da Nasser, il quale, conquistato il potere nel 1952, ne comprese subito il forte ascendente sul popolo. Umm, da parte sua, felice per il fatto che gli ufficiali che capeggiarono la rivolta erano di origine contadina come lei, fu entusiasta di appoggiarlo. Così anche lei condivise le ambizioni di Nasser, i momenti esaltanti - la nazionalizzazione del canale di Suez nel 1956 - come i disastri, quali l'effimera unione con la Siria nella Repubblica Araba Unita o la nefasta "guerra dei sei giorni" contro Israele. Proprio dopo questa ignominiosa disfatta, che annientò il mondo arabo, la sinistra giustificò la débacle incolpando lei: "Come può un popolo prepararsi alla guerra se resta fino alle quattro di notte ad ascoltare una cantante alla radio?". Ma, per tutta risposta, Umm continuò ad ammaliare ogni sera 120 milioni di persone attaccate alla radio - l'intero universo arabo, dal Marocco al Qatar - e intraprese una tourné di concerti, inneggiando alla grandezza dell'ideale arabo e al suo sviluppo industriale e invitando le donne a donare i propri gioielli per la causa. Ma, anche dopo la scomparsa di Nasser, Umm incarnò più che mai il simbolo della nazione.
La passione collettiva di un popolo non è però l'unica presente in Ti ho amata per la tua voce. Come già detto, poco trapelò della vita privata di Umm, al di là degli eventi pubblici e dei concerti (una volta anche in Europa, all'Olympia parigina, nel 1967): l'unica cosa che si seppe fu che si sposò, per gratitudine più che altro, col medico personale Hafnawi, che l'aveva accudita quando fu operata a Washington per un tumore alla gola. Ma, ad onta di questo matrimonio, probabilmente mai consumato, tutti gli arabi sanno bene come fosse lesbica, anche se lo si dice a bassa voce, quasi con pudore, per non compromettere con una cosa "sporca" la fama di una donna a cui tutti tengono. Ma i troppi aneddoti e i riscontri di persone che la conobbero lasciano pochi margini al dubbio. Senza dire che la cantante è diventata - come Mina, Dalida o Barbra Streisand dalle parti nostre - un'icona degli omosessuali indigeni, che amano riconoscersi nelle pene d'amore delle sue canzoni.
Il racconto di Ahmad Rami/Nassib inizia con il primo incontro che il poeta ebbe con Umm nel 1924. Trascinato in un teatro di periferia del Cairo dall'amico Muhammad 'Abd al Wahhab (vedi box), rimase incantato dalla voce di un ragazzo, dal volto incorniciato da un fazzoletto e dai tratti marcati, che cantò in maniera sublime prima alcuni versi del Corano, poi una delle poesie più celebrate dello stesso Rami; lo stupore, pur grande, per la straordinarietà di quella voce fu però presto superato dalla scoperta che quel fazzoletto nascondeva una ragazza, poco più che ventenne.
Scoperta dallo sceicco Abu al-'Ala' nel suo paesino natale, Umm si era da poco trasferita nella capitale assieme al padre, al fratello e alla fedele domestica Sa'adiyya. Ma da subito il padre aveva preferito vestirla in pubblico con abiti maschili, poiché la religione musulmana non accettava (né a rigor di logica lo accetta ancora oggi) che una donna cantasse in pubblico e c'era il rischio che fosse additata come perniciosa fonte di scandalo.
Fu l'inizio di un rapporto bellissimo quanto profondo. Rami cominciò infatti a frequentare quotidianamente la ragazza, scoprendone le eccezionali potenzialità vocali e, nello stesso tempo, convincendola delle sue possibilità. Lei, da parte sua, lo pregò di scrivere dei testi in una lingua araba più semplice di quella classica, poco comprensibile a lei, ingenua contadinella, e a buona parte del pubblico stesso. Novello pigmalione, Rami fece della sua creatura il baricentro di tutta la sua vita; anch'egli sposato a una persona non amata - proprio come lei -, per molti anni visse separato dai tre figli e dalla moglie, poiché questa non sopportava di essere marginale rispetto alla figura debordante dell'altra. Il poeta però non ebbe mai il coraggio di dichiarare a Umm il suo amore, anche perché sapeva bene - era un "segreto di pulcinella" - quali fossero le sue preferenze sessuali. Fu così che il suo amore irrisolto fu trasferito nei versi scritti apposta per lei, nei quali raccontò le speranze e le disillusioni, in una sorta di sottotesto codificato comprensibile solo a loro due.
Rami convinse Umm a cantare anche altri versi, fra i quali spiccano quelli tratti dalle Quartine di Omar Khayyam. Gli audaci e sensualissimi testi del grande poeta omosessuale persiano del V secolo ben si adattavano in effetti all'ambiguità della cantante; un'ambiguità che, del resto, aveva la sua parte nell'eccezionale carisma della donna: mascolina, testarda ed indipendente (e, per certi versi, tirannica e vendicativa). Già da giovane, Umm si comportò in maniera trasgressiva: contravvenendo le regole assegnate al suo sesso, optò per comportamenti tipici dei ragazzi, come la scelta di frequentare le scuole sul Corano o il cantare. Così è chiaro che il travestimento in abiti mascolini, pur giustificato da fatti contingenti, realizzò un suo desiderio nascosto e le fece capire una volta per tutte le proprie inclinazioni: "Sono molto più a mio agio con le ragazze. Con i ragazzi o gli uomini, non so, credo che se non fossero esistiti, sarei stata perfettamente felice..." oppure "sai quanta poca stima ho degli uomini. Senza di loro, il mondo sarebbe più calmo, più casto, più fedele". Nel romanzo, Rami comprende facilmente come dietro la vita ufficiale della donna - la quale asseriva di disinteressarsi dell'amore per darsi totalmente alla propria missione del canto - ci fossero altre realtà, note solo alla fedele Sa'adiyya. Così una volta si accorge come Umm fosse sconvolta dalla sensualità di alcune donne seminude che la sfioravano con le dita. Finché non la scopre a letto con un'altra donna: "Andai fino alla sua camera. Sentii dei sussurri, dei rumori di stoffa. Spinsi la porta. Erano a letto. Riconobbi la ragazza, una presentatrice della radio che l'aveva intervistata ad Alessandria. Il materasso era per terra, la miseria. Era lì. Quel luogo dove nulla ferisce, il ventre dove attingeva la sua forza ambigua. Due donne distese sotto la ruvida coperta, nell'immobilità animale". Insomma, al poeta non rimaneva altro che sublimare il suo amore inappagato nelle canzoni; in fin dei conti, in quella donna dominatrice che amò vedere tutti ai suoi piedi, dal popolo ai re, c'era anche un po' di lui.