In Scappare fortissimo di Stefano Moretti, che sto leggendo in questo periodo, leggo la frase “Il neuropsichiatria mi seguiva attento. Compiaciuto. A loro piace la complessità. Infatti per lavorare sono costretti a complicare anche le cose semplici”. E, come molti medici, hanno la tendenza a considerare tutti come malati: se non sei malato in atto, sei un malato in potenza; se non devi soggiacere a diete, iniezioni e pasticche per un malanno attuale, ti ci devi assoggettare per evitarne uno futuro e ipotetico. Ecco, a me la psicoanalista Simona Argentieri, nel suo breve libello sull’omosessualità, ricorda proprio costoro. Vero è che respinge con orrore, oltre all’omofobia, anche le vecchie teorie che vedevano l’omosessuale malato già in quanto omosessuale: ma è altrettanto vero che, sia per deformazione professionale, come ad un certo punto velatamente riconosce, sia perché la psicoanalisi stessa, per sua natura, non riesce mai ad ammettere che qualcuno possa essere davvero sano ed equilibrato, le persone serene, normali e in armonia con la propria sessualità paiono dare un po’ di fastidio all’autrice, quasi fossero una banda di discoli guastafeste che fanno una pernacchia al sistema freudiano. Si capisce perciò che moltissimi aspetti dell’attuale cultura gay, a cominciare dallo stesso termine gay, all’Argentieri facciano rabbia: ma io, che non conosco granché la psicoanalisi e non credo che l’uomo sia solo un fascio di problemi e rovelli intimi, mi domando se farebbe davvero meglio sia a noi sia agli etero codesto perpetuo sospettare rimozioni, complessi ed altra roba simile anche in gente che palesemente sta bene con sé stessa. In tale forma laica della direzione spirituale, ma di questa assai più impicciona e potenzialmente devastante, chi vuole trovi pure conforto: ma non è roba per me. E soprattutto mi sembra scorretto voler leggere un fenomeno complesso come l’essere gay per mezzo della psicoanalisi, la quale anzi, al pari di ogni lettura unilaterale ed assolutizzante, diventa solo l’ennesimo letto di Procuste. Ciò non toglie che il saggio contenga riflessioni molto importanti e del tutto condivisibili sui rapporti di coppia fra persone dello stesso sesso, su possibili eziologie dei comportamenti omofobici violenti e aggressivi, e a favore delle famiglie gay con diritti eguali a quelle eterosessuali, compreso quello ad avere figli. Ma, ripeto, non trovo condivisibile l’impianto teorico del libro, che per giunta in qualche parte, data l’esigenza di brevità derivante dal tipo di collana in cui è uscito, suona anche un po’ superficiale.