recensione diPatrizia Colosio
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Questo nuovo saggio di Simona Argentieri è un approccio critico alle relazioni omo e etero, al di là del politically correct, sfatando il mito di un normalità costruita da molte opinioni e pochi pensieri.
Il volumetto (appena 100 pagine) ha il pregio di incuriosire e problematizzare in modo stimolante ciò che si dice o si omette sull'omosessualità; è possibile porsi degli interrogativi senza incorrere nel biasimo del politically correct ?
Sì, se la ricerca è a tutto campo e investe tutti i tipi di relazione omo o etero che siano.
E allora vale la pena di riaprire il discorso sulla maternità e il "familismo" di ritorno di certa parte del movimento lgbt, sul transgenderismo, sulla soluzione chirurgica di chi intraprende il percorso di transizione così facilmente "avallato" dalle istituzioni in un paese dove nulla è riconosciuto, in molti casi quasi un passaporto per il ritorno alla "normalità".
Un concetto da cui l'autrice sembra invece prendere le distanze. Nel capitolo "Né scelta né destino", ad esempio, riprende il concetto freudiano dell'identità sessuale non come "dato" ma come "processo", sottolineando inoltre che il primato eterosessuale è sempre un parziale e talora precario frutto di grossi sacrifici pulsionali.
C'è un passaggio illuminante che cito testualmente:
[...] si parla oggi di "normopatici", persone ipernormali, costruite psicologicamente in senso difensivo e imitativo per adeguarsi passivamente a un modello dominante, ma a prezzo di profonde mutilazioni dell'essere.
Chiara Bertone nel suo libro Le omosessualità giustamente osserva che bisogna allargare il campo della discussione: quale mai modello di eterosessualità vogliono proteggere, promuovere, celebrare coloro che insistono nella contrapposizione normale-naturale = etero a fronte del patologico-contronatura = omosessuale? La risposta non può che essere: un'eterosessualità vecchia, difensiva, rigida e mutilante per uomini e donne".
La parte un po' più debole è quella riguardante il valore del coming out come tappa di un percorso personale di autoconoscenza e di crescita, o dei Gay pride come celebrazione collettiva di una libertà ritrovata, ma soprattutto il pianeta lesbico che appare, come al solito, un oggetto misterioso.
Va dato atto a Simona Argentieri, psicoanalista e psicoterapeuta della SPI, di essersi messa in gioco; personalmente ho potuto incontrarla ad una presentazione presso una scuola di specializzazione psicologica: c'è stato uno scambio all'insegna della reciproca stima, ma soprattutto si è potuto condividere il desiderio di approfondire collettivamente tematiche su cui i pregiudizi e le paure esercitano ancora un' influenza negativa.
Un piccolo aneddoto a questo proposito: l'autrice ha deciso di iniziare la presentazione raccontando che avrebbe voluto dedicare il libro a una coppia di gay e a una coppia di lesbiche sue amiche, ma tutti hanno detto di no; e questo, sono parole sue, da parte di gente dello spettacolo, a Roma, nel 2010.
E allora, a titolo di risarcimento per questa dedica mancata mi permetto di concludere con le belle parole di Nichi Vendola al recente congresso di Firenze:
"Compagni, dobbiamo smettere di perdere bene tutte le battaglie. Dobbiamo vincere, e vincere bene. E la prima parola per farlo, per tenere insieme tutto, sarà bellezza. Bellezza nelle relazioni, bellezza nello scoprirsi gay e nel riuscire a dirlo rompendo il silenzio che ti fa paura".