Adorata creatura. Vita, adorabile impossibile creatura.

3 maggio 2006, "L'Unità", 26.11.2002

Recensione di Delia Vaccarello, da: "L'Unità", 26.11.2002.

«A Vita Sackville-West, adorata creatura».

«A Virginia Woolf. Sempre tua, Vita».

Vent'anni di passione amorosa e scrittura intrecciate in maniera inestricabile nel rapporto tra le due scrittrici inglesi e attingibili grazie all'epistolario appena pubblicato dalla Tartaruga (Adorata Creatura. Le lettere di Vita Sackville - West a Virginia Woolf, traduzione di Fiorella Cagnoni e Silvie Coyaud, La Tartaruga, € 16.60).

Una relazione intensa, che nasce tra solitudini. Solitudini comunque irriducibili. Dall'esito finale, per Virginia, tragico. Questa l'origine, così prefigurata in una delle epistole che precedono il primo rapporto carnale:

«Quello che si vuole è alzare lo sguardo dal libro che si sta leggendo, la discussione che si accende tra due zone di silenzio».

Un rapporto a due che attraversa l'esistenza delle scrittrici, scandita, nel contempo, da fitti rapporti con l'ambiente letterario dell'epoca e, per Vita, dai viaggi, soprattutto in Oriente. Rapporto fondativo:

«Poche cose rimangono a indicare la strada - scrive Vita a Virginia - la poesia, e tu, e la solitudine».

E Virginia:

«Adesso, mi dico, avrò la mia festa - scrivere a Vita».

Passione e scrittura, inscindibili, serpeggiano parallelamente. Scenari del continuo stanarsi, nascondersi e svelarsi che ci fa scorgere la personalità delle due donne: sensuale, esuberante e irruenta Vita, delicatissima, innamorata ed eterna cittadina della propria solitudine, Virginia.

L'esordio dell'intimità è tutto nella provocazione di Vita che, invitando Virginia ad un pellegrinaggio annuale di zingari, sferra l'affondo:

«Consideralo, se vuoi, materiale di scrittura - come credo che tu consideri tutto, compresi i rapporti umani. Oh sì tu ami la gente con il cervello più che con il cuore& Naturalmente devono esserci delle eccezioni»,

candidandosi lei ad essere almeno una di queste.

E Virginia, di rimando, impeccabile traduttrice di emozioni:

«Mi ha fatto piacere la tua lettera intima& mi ha dato un grande dolore - il che è senza dubbio il primo stadio dell'intimità - niente amici, niente cuore, solo una testa indifferente. Fa niente: mi hanno fatto molto piacere i tuoi insulti».

Ironia, ricerca, desiderio alla base del loro legame tornano nel rapporto con la parola scritta e da qui si riflettono nella dimensione amorosa:

«Sì mi manchi, mi manchi. Non oso dilungarmi perché dirai che non sono forte... E tu sai che questa è una scemenza bella e buona, mia cara Vita. Dopo tutto, che cos'è una frase adorabile? Una frase che ha assorbito tutta la verità che poteva starci».

L'intrecciarsi continuo tra amore per l'altra, scrittura e vocazione esistenziale trova la sua espressione evidente nel progetto di Virginia di scrivere Orlando.

«Ieri mattina ero disperata & non riuscivo a spremere una parola; alla fine& ho scritto, quasi automaticamente, sul foglio bianco: Orlando: Una biografia. Appena fatto questo il mio corpo è stato invaso dall'estasi, la mia mente da idee& supponi che Orlando si riveli essere Vita; e che sia tutto su di te e sulla sensualità della tua carne e sulle lusinghe della tua mente...».

Ecco, l'ispirazione, il progetto, l'amore: tutto si lega in un continuum in cui il riferimento all'altra è centralissimo, diuturno, appare come parte integrale del sé. E continue sono nell'epistolario le riflessioni sulla scrittura in genere, gli interrogativi, tanti, ad esempio, sulla prosa e la poesia, e le esortazioni di Virginia a Vita:

«Quello che io chiamo trasparenza centrale qualche volta ti manca»...


«Cercavo di capire qualcosa della materia in sé, prima che si trasformi in altro: l'emozione, l'idea. Il pericolo per te con il tuo senso della tradizione, e tutte quelle parole - un dono degli Dei, peraltro - è di farla venire alla luce troppo facilmente».


"...Quanto al mot juste, hai proprio torto" - dice in un'altra lettera Virginia a Vita - "Lo stile è una cosa molto semplice, è tutto ritmo. Una volta che ce l'hai non puoi usare parole sbagliate& Ora, è una cosa molto intensa, questa del ritmo, e va molto più in profondità delle parole".

Una ricerca continua, dunque. Se una relazione è un mondo irripetibile a due, quella tra Vita e Virginia, che attraversa con tanta naturalezza il luogo senza tempo della scrittura, si proietta incessantemente nelle infinite dimensioni dell'immaginazione e della creazione, e diventa viaggio, progetto, futuro, nonché sensualità e carnalità. Frequentissime le invocazioni, le espressioni di impetuoso desiderio che seguono le annotazioni sullo scrivere.

Così Vita a Virginia:

«Sono in un curioso stato di eccitazione - dovuto soprattutto alla tua lettera - mi devasta sempre leggerti. Dio, ti amo proprio. Dici che non uso vezzeggiativi, mi sembra divertente».

Ma l'origine, che segna ogni rapporto continuando silenziosa a tessere la sua trama, prende il sopravvento. Compagna di ogni lavoro creativo, presenza costante, è nella solitudine che si rifugia il mistero.

La solitudine di Virginia contemplava la possibilità dell'esito estremo. Nonostante l'amore, questo amore. Il 28 marzo del 1941 Virginia si toglie la vita. Si annega, va via da tutti, anche dalla sua adorata creatura. Il primo incontro tra Vita e Virginia era stato il 14 dicembre del 1922, l'ultimo il 17 febbraio del 1941.

Il 4 marzo scrive a Vita, a proposito di un accendi-fuoco,

«noto in America come la Piccola Meraviglia: Qui ti devi fermare. Non puoi aggiungere nulla al fuoco. Cerca di capire com'è poeticamente appropriato smettere qui».

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