recensione diMauro Giori
Il visone sulla pelle
Commedia di routine e piena di allusioni erotiche non prive di audacia, Il visone sulla pelle mette fianco a fianco Cary Grant e Doris Day in due dei loro ruoli perenni, il dongiovanni facoltoso (Philip) e la cenerentola (Cathy) che alla fine sposerà il principe. Il meccanismo funziona e diverte, pur senza presentare scarti dalle norme del genere.
Nelle quali rientra pienamente anche il confronto fra due modelli diversi di maschilità, incarnati dal protagonista e dal comprimario (qui interpretato da Gig Young, che forse non per caso assomiglia molto a Tony Randall, il quale di solito assolveva il medesimo ruolo rispetto a Rock Hudson nelle sue coeve commedie con Doris Day). Questi raffronti spesso finivano con l’alludere all’omosessualità, non senza una certa aura di gossip quando coinvolgevano attori la cui omosessualità era alquanto chiacchierata all’interno degli ambienti hollywoodiani (come era il caso appunto di Hudson e di Grant). È quanto accade anche in Il visone sulla pelle, dove il braccio destro di Philip, Roger, è in cura da uno psicoanalista da un congruo numero di anni proprio a causa di un rapporto di amore-odio con il suo principale. Durante una seduta, il dr. Gruber si assenta senza che Roger se ne accorga, sicché al suo ritorno si produce l’equivoco: non avendo ascoltato la premessa, quando il paziente parla in prima persona di Cathy e della sua vicenda romantica, mettendosi nei suoi panni, il dr. Gruber crede che stia parlando di se stesso e che sia proprio lui ad essersi innamorato di Philip. Il malinteso si prolunga in diverse scene, compresa quella che chiude il film.
Vito Russo scrive che in Il visone sulla pelle la paranoia è fondata sulla psichiatria, poiché nella prima scena l’analista, nel momento in cui si convince che il suo paziente è ora gay, annulla una speculazione finanziaria che aveva basato sulle informazioni involontariamente rivelate da Roger durante la seduta. «My informer has developed an instability which makes his judgement questionable», è la sua giustificazione. Come a dire che se l’informazione viene da un omosessuale non è attendibile perché trattasi di persona malata e instabile. Tuttavia Russo non vede (come spesso gli accade) l’altro lato della medaglia, e cioè che il vero bersaglio della satira è lo psicanalista (nonché la psicoanalisi, secondo cliché già di lunga vita), in questa come nelle altre sequenze che svolgono l’equivoco. Il dr. Gruber infrange infatti qualsiasi deontologia sfruttando informazioni riservate e violando il segreto professionale, nonché assentandosi a tradimento tanto da compromettere l’efficacia della terapia, poiché ne deriva il fraintendimento del problema di Roger. Insomma, il dr. Gruber è un ciarlatano e il suo giudizio palesemente omofobo è altrettanto evidentemente squalificato nel contesto del film. Quando Roger inizia a parlare di nozze, l'analista deve persino tornare a Vienna per un rapido corso di aggiornamento perché non sa come affrontare la gravità della situazione, mentre nell’ultima scena si dispera di fronte al neonato frutto del matrimonio nel frattempo celebrato ed evidentemente consumato (consumazione inseguita per tutto il film indipendentemente dalle nozze, e continuamente rinviata).
Il fraintendimento comico, viceversa, è da leggere anche come un pretesto protettivo per poter parlare di qualcosa che non era ancora lecito nel cinema classico. Dietro questo paravento di comoda ambiguità, è possibile far sì che Roger parli del suo rapporto con Philip come di un idillio, di un vero amore («This is the real thing») che sfocia nel matrimonio e addirittura nella paternità, procurando estasi e felicità di fronte alle quali la psicoanalisi può solo rassegnarsi a rendere le armi. Insomma una romantica fantasia a occhi aperti che non presenta controindicazioni.