recensione diMauro Fratta
A cosa servono gli amori infelici
Ciò peraltro non inficia il valore del romanzo, che secondo me è molto elevato.
Alla vigilia del nuovo millennio, un uomo sulle soglie dei sessant'anni attende l'ora d'un'operazione al cuore che lo guarisca dalla grave forma di angina pectoris di cui sta soffrendo, e scrive tre lettere: una ad un collega di lavoro, una ad un anziano prete, una ad un destinatario sconosciuto. Emergono frammenti autobiografici d'una vita solitaria di provincia: colto e sensibile, l'uomo ha rifiutato le profferte amorose prima del prete al quale scrive, poi dell'amico Giammaria; è sempre vissuto isolato in un luogo di lavoro meschino e pettegolo, tra colleghi detestati e la mansione non gravosa ma spiacevole di scrivere i discorsi per i presidenti che si avvicendano a capo dell'ente stsso, in cui è entrato da giovane ed uscirà vecchio.
Severini ha un'eccezionale abilità nel tratteggiare con pennellate di colore brevi e dense l'esistenza agra d'un uomo segnato dalla solitudine e, più in generale, l'avara povertà di giorni che si trascinano con poche vacanze di luce frammezzo un panorama d'ombra tediosa; ma non cede alla tentazione d'imputare soltanto alla società, all'ambiente, all'educazione la sconfitta d'un'intera vita: se siamo ciò che foggiano le forze esteriori, concorre a condannarci anche il nostro atteggiamento di chiusura, di superbia, di sfiducia. Il protagonista si sente diverso dagli altri, senz'altro è ipersensibile: ma nei confronti del mondo si trascina in un'aura d'estraneità la quale non può che accrescere l'isolamento cui già le circostanze lo condannano; nel rifiuto della carnalità, della passione, l'uomo chiude una porta davanti a sé stesso. Ma quanto siamo responsabili noi e quant'è responsabile il mondo? O, in realtà, non è la vita di ciascuno, malgrado quel che appare, un mosaico di sconfitte e disadattamenti ove brillano le rade tessere dei giorni migliori?
Tutto ciò vibra in una prosa lucida, in cui l'autoanalisi non è mai innaturale, in cui le memorie dolorose o consolanti fioriscono con la scioltezza espressiva venata di sgomento che presentano quando ce le rievochiamo nelle ore in cui wir sind der Welt abhanden gekommen e rimaniamo, finalmente o, talvolta, dolorosamente soli con noi stessi.