recensione diDaniele Cenci
I giorni innocenti della guerra
Due le vicende tessute nell'arco dell' "incubo notturno" della Seconda guerra mondiale. La prima si dipana nell'alto Lazio e vede al centro il giurista Stefano che, rimasto vedovo, s'è risposato con Nina, sorella della moglie scomparsa, e ora va organizzando la resistenza in zona con l'aiuto dell'adolescente Sergio "portatore di una luce di chiarezza e verità che mette in fuga ogni ombra - le ipocrisie del regime come quelle più segrete e oscure di ognuno di noi". L'altra si snoda in Inghilterra attraverso Alastair, un pilota della RAF che adora Le onde, i versi di Auden e l'Opera italiana, sempre in cerca di un compagno ideale (dopo la perdita in battaglia dell'amato Stevie), amico di Edna, infermiera volontaria e poi scrittrice. A questi blocchi narrativi fanno da contrappunto le lettere alla famiglia dei fratelli di Nina, caduti prigionieri in Africa e in Russia. Le due storie principali saranno destinate a incontrarsi dopo la cattura del pilota, internato a Fossoli con ebrei e omosessuali, e la sua successiva fuga verso sud. E siccome i segreti "sono ferite che rimangono aperte", il rovente colpo di scena finale scombussolerà le esistenze di tutti, ponendoli di fronte all'indomabile forza di un Desiderio che si fa beffe di quel "pupazzo di stracci" che sono le regole e i pregiudizi umani. Un libro carico di una calibrata suspence psicologica, ma anche dell'atmosfera di fiabesco sortilegio del "Sentiero dei nidi di ragno": un romanzo corale in cui la Storia - la mente corre alla Morante e al Fenoglio di "Una questione privata" - si mescola con i sogni e le derive personali, e si scontra di continuo con le ragioni dei sentimenti e la smania del demone Eros, come già nella "Morte della bellezza" di Patroni Griffi, in "Carceri d'invenzione" di Tornabuoni o nello struggente film di Vancini "La lunga notte del '43" (1960).