recensione diMauro Giori
Colori proibiti
Incastonato fra i due grandi successi commerciali di Sete d’amore e Il suono delle onde, Colori proibiti fece scalpore perché, come già Confessioni di una maschera, affrontava argomenti scabrosi atti a solleticare i pruriti del pubblico. Nessuno in Giappone aveva ancora osato indagare a fondo quel milieu omosessuale che era andato formandosi nel dopoguerra, con i suoi ritrovi, il suo gergo, le piccole ritualità. Il titolo stesso ha un significato ambivalente in giapponese (ci informa la curatrice dell’edizione dei Meridiani, che offre nuove traduzioni direttamente dagli originali), valendo anche Amori proibiti.
Mi chiedo tuttavia cosa le lettrici dell’epoca (il romanzo apparve a puntate tra il 1951 e il 1953) possano aver pensato di quest'opera, che contiene alcune delle pagine più misogine mai scritte, delle quali la mostruosa sequenza del parto di Yasuko è solo il culmine. L’intera vicenda si può riassumere nella vendetta ordita contro il genere femminile da un anziano e rispettato scrittore, Shunsuke, sposatosi prima con una ladra, poi con una pazza e infine con una ninfomane (parole sue), e ora legato platonicamente alla giovane Yasuko, «capace di leggere un romanzo semplicemente come una “storia”» (perifrasi sublime per dirne la povertà d’animo).
Sensuale ma brutto, Shunsuke odia in realtà anche «tutti i bei ragazzi del mondo», perché ovviamente gli ricordano ciò che a lui è sempre dolorosamente mancato, ma di fronte all’adolescente Yuichi «la bellezza lo costrinse al silenzio». Quando Yuichi gli confessa di avere una relazione con Yasuko ma di essere omosessuale, pregandolo di informarne la ragazza per liberarlo da lei, Shunsuke crede di avere l’intuizione risolutiva della sua esistenza: si vendicherà dell’intero genere femminile con la complicità del ragazzo, che pagherà perché seduca quante più donne possibile al solo fine di abbandonarle e farle soffrire. A cominciare da Yasuko, che Yuichi sposerà solo per meglio trascurarla. Così facendo, Shunsuke avvia un interminabile balletto di seduzioni incrociate, di gelosie, di bramosie, di turbamenti, di odi e di ripensamenti, di cui finirà col rimanere vittima anche lui.
Infatti l’ironia di Mishima in fondo si rivolge soprattutto contro l’anziano scrittore, poiché egli è il primo a subire il fascino di Yuichi quando se lo vede comparire davanti per la prima volta su una spiaggia. Tanto che Colori proibiti m’è parso un’abile, personalissima e divertita riscrittura della Morte a Venezia di Mann, ovvero di quel canovaccio pederastico (non mancano nemmeno gli inevitabili rimandi al Simposio e al Fedro) di cui gli scrittori omosessuali si sono serviti per decenni al fine di raccontare l’inenarrabile e confessare l’inconfessabile. Il che è tutto fuorché implausibile, dal momento che Mishima è cresciuto sulla letteratura occidentale, di cui anche Confessioni di una maschera traboccava.
Come nel caso di Aschenbach, l’infatuazione è inizialmente elaborata tramite una sublimazione estetica, tanto che la scultura greca offre a Shunsuke gli unici paragoni adeguati per descrivere la perfezione della bellezza del giovane. Benché si ritenesse ormai al termine del suo percorso creativo, tanto più che già «per ben tre volte aveva pubblicato la sua opera omnia», lo scrittore si trova però a dover rimettere gradualmente in discussione la sua stessa idea della bellezza, le sue concezioni estetiche, il rapporto fra arte e vita, creazione e sensualità. In parallelo, Yuichi deve prestarsi prima a fare da opera d’arte e poi da alter ego, in modo che Shunsuke per suo tramite possa coronare la propria carriera e allo stesso tempo rivivere la sua giovinezza per procura e senza ripeterne gli errori. Ma in ultimo l’anziano scrittore finirà col ritrovarsi innamorato, ansioso e geloso, nonostante la sua conclamata eterosessualità, l’autocontrollo derivante dalla sua posizione sociale e dalla sua formazione culturale, l’enorme divario d’età. Ovviamente la morte di Aschenbach non può che divenire, in un romanzo di Mishima, suicidio. In questo modo, tra l’altro Shunsuke riscatta i venti volumi della sua produzione che finalmente, freschi di stampa, gli stanno di fronte, ma come «un bambino brutto». Nel frattempo ha infatti compreso appieno i limiti del proprio lavoro, proprio mentre metteva a segno la sua creazione più felice: Yuichi appunto. Lasciandogli la propria lauta eredità, lo scrittore saprà vincolarlo per sempre a sé, di modo che non possa più liberarsi del suo amore.
Il ragazzo preferisce però non far caso alla trasformazione di Shunsuke, cui lo lega un rapporto di amore-odio. È in ogni caso a questo strano mentore che deve la scoperta del suo bene maggiore: la bellezza, di cui non era consapevole. Il conseguente narcisismo non gli permette di provare sensi di colpa e a distrarlo ulteriormente sono le infinite conquiste, femminili (per assecondare tanto Shunsuke quanto le proprie convenienze) e maschili, che sono legione poiché a lungo il ragazzo si ritiene incompatibile con una relazione stabile.
Come in Confessioni di una maschera, ma con una scrittura già considerevolmente maturata, Mishima dà libero sfogo ad alcune sue ossessioni (a cominciare da quella per il corpo maschile) prestando aspetti di sé a diversi personaggi, sebbene questa volta lavori molto più d’invenzione lasciando effluire le sue idiosincrasie nei confronti di un sottomondo omosessuale dipinto con cura ma a tratti con cipiglio (à la Proust). Pur disprezzando il «principio fondamentale dell’eterosessualità, quel principio eterno e noioso della voce della maggioranza», Mishima ironizza sugli aspetti più pittoreschi, chiassosi e teatrali del club frequentato da Yuichi, sui vezzi degli effeminati che impiegano «due ore a truccarsi, tutte le mattine», sui pettegolezzi e sul «fallicismo della società gay» (cioè sull’ossessione per il sesso). Ciò non gli impedisce di spingere Yuichi alla scoperta di ogni anfratto di quel sottomondo, dagli «uffici» (i cessi pubblici) sino alle ville dove si organizzano orge, passando per il battuage nei parchi e le nottate in accomodanti alberghetti a ore di periferia.
Ma anche in questo caso il bersaglio principale alla fine sembra essere Shunsuke, che alla sua età veneranda tenta di analizzare l’omosessualità a distanza, da par suo, formulando fantasiose teorie sulla natura dei rapporti sessuali tra uomini o chiedendo agli psichiatri rassicurazioni sul fatto che non sia ereditaria, senza accorgersi di esservi già pienamente coinvolto.