Non è più il Leavitt di vent'anni or sono; questo è un Leavitt che, a forza di additare la modesta e tranquilla vita gay borghese come ideale dopo le ebbrezze menadiche della liberazione sessuale e il lutto per la nuova peste che passò come una tempesta distruttrice, dall'aurea scade nella ferrea mediocritas, a mo' di genitore pre-sessantottino che alzando il dito ammonitore dica: "Qui è vietato sognare". I gay artisti, famosi e belli sono stronzi e quelli modesti e goffi sono bravi: mah!, è roba troppo americana per i miei gusti; che se la leggano gli americani.