Uno scrittore post-gay

Intervista a David Leavitt

8 settembre 2005, "Pride", settembre 2005

L'amore per l'Italia, le nuove prospettive della cultura gay americana, l'ultimo romanzo, gli interessi, i prossimi libri di uno scrittore americano che in Italia ha anche vissuto per diversi anni: David Leavitt.

Esponente di spicco della letteratura gay (e non) americana, impegnato nella rappresentazione di un'omosessualità "moderna" e "normale" lontana da ogni forma di clandestinità e di maledettismo, David Leavitt è uno scrittore molto amato in Italia, dove ha issuto per alcuni anni e dove i suoi libri hanno sempre avuto un grande successo.
Per qualche giorno a Roma, dove ha partecipato al Festival delle letterature, "Pride" lo ha intervistato.

In un tuo saggio di qualche anno fa (pubblicato in Italia nella raccolta La nuova generazione perduta), mentre criticavi l'ossessione di molta letteratura gay americana per la bellezza maschile, auspicavi una letteratura gay che invece di sbavare su angeli scesi in terra trasformasse l'esperienza omosessuale in un dramma squisitamente umano. Cosa che tu hai fatto in tutti i tuoi romanzi, trasformando radicalmente il modo di rappresentare l'omosessualità nella letteratura.
Nel tuo ultimo romanzo apparso in Italia, Il corpo di Jonah Boyd sorprendentemente non ci sono personaggi gay, né situazioni gay. Come mai? L'argomento è diventato meno interessante?

Non so, posso dirti che non è stata una scelta: il romanzo è nato così.
Il saggio a cui ti riferisci è comunque di più di dieci anni fa. Ora la situazione è un po' diversa. Recentemente ho scritto un altro saggio che apparirà sul "New York times" dove parlo di letteratura post gay.
"Post gay" per me vuol dire che l'identità omosessuale di uno scrittore oggi comincia ad essere meno importante rispetto a qualche anno fa. E questo, secondo me, è un fatto positivo, perché significa che si ha un senso più elastico dell'identità sessuale. Al primo posto si pone soprattutto l'esperienza e meno l'ideologia.
Di etichette non ne abbiamo mai una sola: io, per esempio, sono gay, sono ebreo, sono americano. Fino ad oggi l'essere gay è stato al primo posto, perché era molto forte l'aspetto rivendicativo che oggi è diventato meno importante.
Ci sono molti scrittori che non hanno nessun problema ad essere gay, ma hanno problemi ad essere definiti scrittori gay.
Io non ho mai avuto problemi ad essere uno scrittore gay, ma secondo me questa definizione comincia ad essere un po' anacronistica, è un po' di un'altra epoca. E questo, ripeto, per me è un bene.
Colm Toibin, che io ammiro molto, è il classico esempio di uno scrittore post gay, perché è molto esplicito nel suo essere gay, ma nei suoi libri parla di molte altre cose, oltre che della realtà gay. Il suo ultimo libro, The master, su Henry James, in questo senso è molto illuminante.

Un discorso di questo genere può forse avere un senso nella realtà anglosassone, dopo circa trent'anni di letteratura gay, ma in Italia è un po' difficile parlare di letteratura post gay quando ancora non è chiaro se c'è una letteratura gay. Non credi?
Il mio è un discorso che riguarda solo la cultura anglosassone.
L'Italia è un caso particolare, perché c'è questa tradizione dell'omosessualità casuale, della bisessualità diffusa, e forse per questo è meno sentito l'aspetto rivendicativo, però credo che una letteratura gay c'è stata anche in Italia, penso a Tondelli, a Busi.
Non conosco bene la letteratura italiana delle ultime generazioni, ma sono curioso di sapere cosa scrivono oggi i giovani scrittori gay.

Come scrittore "post gay" quali sono i tuoi interessi oggi?
Le mie riflessioni sulla letteratura post gay non significano che non tratto più argomenti gay, tutt'altro. Negli ultimi due anni non ho scritto narrativa, ma ho lavorato a un libro sul matematico inglese Alan Turing, una figura affascinante, un martire della persecuzione contro i gay. Arrestato negli anni cinquanta e accusato di omosessualità in base alla stessa legge che aveva portato alla condanna
di Oscar Wilde, Turing fu sottoposto a un cura a base di estrogeni, una sorta di castrazione chimica che lo rese impotente, obeso e depresso. Nel 1954 si suicidò mangiando una mela avvelenata, immersa nel cianuro, perché era ossessionato dalla fiaba di Biancaneve.

È una biografia romanzata?
No, non c'è fiction, si tratta di un vero e proprio saggio che fa parte i una collana dedicata ai grandi scienziati. L'editore ha chiesto a me d scriverlo, evidentemente perché Turing era gay.
Sono rimasto affascinato da questa figura, innanzitutto dalla sua vita, a poi anche dal suo lavoro e dalle sue scoperte. Lui è stato un genio, ha decrittato, durante la seconda guerra mondiale, Enigma, la macchina segreta della marina tedesca, ed è stato il padre del computer. Era timido, molto riservato, ma anche molto chiaro ed esplicito a proposito della sua omosessualità.
Ora sto anche lavorando ad una nuova rivista letteraria interamente dedicata alle traduzioni, che uscirà in autunno per l'university of Florida, dove insegno. La traduzione mi ha sempre affascinato, quando vivevo in Italia ho anche provato a tradurre alcune poesie di Sandro Penna e un capitolo di un bel romanzo gay di Patroni-Griffi, La morte della bellezza.
Poi ho in mente un altro romanzo ambientato nell'antica Roma.

La critica ti ha sempre definito uno scrittore minimalista. Ti riconosci in questa etichetta?
Io a dire il vero non mi sono mai sentito veramente minimalista. Per me la narrativa minimalista è una particolare forma di scrittura dove ci sono dialoghi, descrizioni, eventi, senza nessuna spiegazione, dove ogni interpretazione di quello che succede è lasciata al lettore. Ci sono scrittori che scrivono così, ma non io.
Se però diamo al termine "minimalista" un senso più generico di interesse dello scrittore per la vita quotidiana, per le cose banali di tutti i giorni, forse sì... in questo senso sono minimalista, ma per me il minimalismo è proprio una tecnica di scrittura che non è la mia.

Tu insegni alla university of Florida, dove ci sono, credo, corsi di gay studies e di queer studies come in moltissime università americane. Quanto gli scrittori gay hanno assorbito del dibattito accademico sui queer studies?
Poco, molto poco.
Io insegno nel dipartimento di inglese e vedo molti colleghi che insegnano questo tipo di studi. Sono due mondi diversi, il mondo accademico parla una lingua, gli scrittori ne parlano un'altra. C'è amicizia, rispetto, ma non c'è collegamento fra questi due mondi. Io non capisco il loro linguaggio, è un vocabolario particolare che bisognerebbe imparare. E poi a loro mi pare che interessino solo scrittori che spesso per me sono poco importanti.
Ho lavorato recentemente con uno studente che aveva seguito con grande impegno questi corsi e sono rimasto molto sorpreso. Lui ha letto tanti studi accademici, sa tutto di Judith Butler e di altri teorici, ma non ha mai letto Wilde e Forster e quindi per me non conosce niente della storia della letteratura gay.
Forse non è dappertutto così, e questa è solo una caratteristica della mia università, lo spero... comunque per me leggere Wilde è essenziale.

I tuoi racconti di Ballo di famiglia e ancor più il romanzo La lingua perduta delle gru sono stati per i giovani gay un modello non solo di scrittura, ma anche di comportamento. Oggi quali sono i modelli?
Sono molto contento di aver dato dei modelli che sono importanti.
Quando ho scritto La lingua perduta delle gru io pensavo al romanzo che da ragazzo avrei voluto leggere, ma che non esisteva.
Il mondo oggi è molto cambiato, pensiamo ad internet e alle nuove modalità di incontri e di scambi.
Io credo che ci sia bisogno di un altro libro, che però deve scrivere uno scrittore giovane.
Non so quale sarà questo libro, ma certamente parlerà molto di internet e del mondo virtuale che i giovani frequentano molto.

Tu hai vissuto per alcuni anni in Italia, ora sei tornato negli Stati uniti. Pensi di tornare a vivere qui?
No, non credo. Ho vissuto in Italia, a Roma e in un paesino della Toscana, ci sono stato molto bene, ma non penso di tornare a viverci.
Gli anni vissuti a Roma sono stati straordinari, abitavo tra san Giovanni e il Colosseo e ogni giorno avevo davanti a me quelle rovine che mi davano il senso della storia. Per noi americani questo è particolarmente importante, perché per noi "antichità" è una casa degli anni trenta.
Amo molto l'Italia e tornarci è sempre un grande piacere. Mi piacerebbe stare per un po' di tempo a Napoli, forse ci verrò per qualche mese. Ci sono stato ieri e l'ho trovata una città veramente affascinante. Mi piacciono sempre di più le città del sud... non so, a ottant'anni magari sarò a Reggio Calabria o a Palermo.

Ancora una cosa sul romanzo Il corpo di Jonah Boyd. Il narratore si identifica sempre in un personaggio del proprio romanzo, ma qui, dove non ci sono personaggi gay, dove è Leavitt? In Ben, il giovane aspirante scrittore, o nell'io narrante che è una donna?
Io credo di identificarmi un po' in tutti e due questi personaggi.
Tutti e due hanno caratteristiche che mi riguardano. Alcuni critici hanno detto che la protagonista femminile è un po' un gay travestito da donna. Io non credo, secondo me è una donna.
Per uno scrittore scrivere dal punto di vista di un personaggio dell'altro sesso è una cosa molto interessante.
Identificarmi in una donna è stata un'esperienza di liberazione e poi ho capito che per me è molto più facile scrivere assumendo il punto di vista di una donna piuttosto che quello di un uomo etero.
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nomeprofessioneautoreanni
David LeavittscrittoreLavinia Capogna1961
autoretitologenereanno
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