recensione diMauro Fratta
Inclinazioni
Non so, a onor del vero, se tornerà un momento in cui Ronald Firbank sia di nuovo un autore d'un certo successo quale fu sul principio del secolo scorso; è anche possibile in effetti che il suo momento di piccola gloria sia trascorso per sempre: ma senza dubbio il pubblico che si deliziava coi suoi raccontini frizzanti ed estrosi non esiste più. L'autore inglese, convertito al cattolicesimo (un cattolicesimo tutto estetizzante che attraeva, per esempio, anche un Oscar Wilde: con la sedicente liturgia venuta dopo il Vaticano II, tutti questi protestanti ovviamente sarebbero restati felicemente protestanti) e morto a Roma in povertà, scrisse tutta una serie di brevi romanzi talmente sovraccarichi e cinguettanti che leggendoli sembra di trovarsi in una stanza angusta, strapiena di figurini di Aubrey Beardsley intenti a cicalare senza tregua fra tappezzerie insolenti, mobili ricchissimi e, a centinaia, soprammobili esotici o stravaganti dei materiali più eletti. Forse l'estremo di questa tendenza decorativa è il libro Sulle eccentricità del cardinal Pirelli (dove compare perfino un papa decadente: più modesto di Frederick August Rolfe, alias Baron Corvo, però, Firbank non arriva a identificarsi col papa, di cui anzi bonariamente sorride); Inclinazioni è un'opera meno estetizzante, ma più sperimentale, visto che è costituita quasi per intero da dialoghi, toltine rari e brevi passi narrativi, più che altro didascalie necessarie a fare da collanti, e chi parla con chi si capisce solo dal contesto. D'altro canto, non risulta sempre necessario capire chi stia dicendo che cosa, essendo più rilevante l'atmosfera rispetto all'esattezza psicologica dei personaggi: e la storia stessa è semplicissima: durante un viaggio in Grecia, la giovane Mabel, arrivata al seguito della più anziana Gerald, cade ai piedi d'un conte italiano che la impalma con estremo scorno dell'attempata accompagnatrice inglese; la seconda parte, più breve e successiva al matrimonio, è molto meno interessante, e a mio avviso Firbank l'avrebbe dovuta sopprimere nel testo definitivo.
Nell'incessante chiacchiericcio di damazze i lettori gay di un secolo fa riuscivano senza dubbio a cogliere una selva di allusioni a modi di dire, mode, situazioni e anche a persone da loro conosciute: ma è ovvio che al lettore d'oggi sfugga gran parte di tutto ciò. Per giunta, il lettore odierno non è più abituato a tutto questo narrare in cifra: è ormai troppo avvezzo a storie senz’ambagi per provare brividi complici leggendo fra le righe una vicenda d’amore che non ardisce dire il suo nome (benché qui piuttosto trasparente) nella passione improvvisa della protagonista per un vagheggino conosciuto in vacanza, che manda all’aria i pedagogici progetti di coppia nutriti dalla sua più attempata mentore. Firbank resta sempre sull’orlo dell’esplicito, ma lo preferisce fare svaporare in un’allusione birichina, soffocandolo fra i fiorami delle sue logomachie trillanti di zitelle con la testa tra le nuvole. Pure, se si trova divertente quel mondo british artificioso, tutto maldicenze, mossette e inchini, queste pagine conservano pur sempre una notevole piacevolezza; purtroppo, però, delle cose vecchie e polverose hanno il fascino ma anche quel sentore di stantio e di chiuso che le rende magari curiose e simpatiche, ma impedisce di sentirle davvero vicine a noi.