recensione diMassimo Basili
Sei tu mia madre? - Un'opera buffa
Alison Bechdel è una pluricelebrata autrice lesbica underground della quale Rizzoli ha praticamente stampato l'opera omnia dopo il successo della sua autobiografia a fumetti uscita da noi nel 2007, Fun Home e l'ottimo riscontro della sua monumentale striscia lesbica Dykes To Watch Out For (tradotta in italiano due anni dopo come Dykes)
Stavolta l'autrice cambia il punto di vista per raccontare sostanzialmente la stessa storia del suo primo libro, ovvero le traversie della sua famiglia disfunzionale negli anni sessanta.
Bechdel è cresciuta in un'agenzia di pompe funebri con due fratelli maschi, un padre ripostamente omosessuale aspirante scrittore, morto forse suicida a 44 anni, e una madre attrice algida e anaffettiva. Se nel precedente libro l'autrice narrava la presa di coscienza della propria omosessualità rispecchiandosi nel segreto sempre meno celato del padre e nei guasti che questo causava alla serenità familiare, in Sei tu mia madre? disseziona in maniera chirurgica il proprio rapporto con una madre distante e severa, ma generosa nel far fronte ai rovesci della vita sacrificando nel contempo le proprie ambizioni artistiche e incoraggiando invece quelle dei figli, soprattutto della brillante e talentuosa Alison. Lo stile del racconto di Bechdel, già piuttosto articolato e spiccatamente letterario, in questo graphic memoir si aggroviglia ancor di più in molteplici livelli narrativi e meta-fumettistici: il libro prende avvio molti anni dopo dalla morte del padre, quando Alison confessa alla madre di lavorare ad un libro su di lui (Fun Home, appunto) e poi scorre avanti e indietro nel tempo passato, alternando i ricordi d'infanzia con le lettere che si scrivevano i genitori da giovani, le tormentate relazioni amorose di Alison, le sue sedute di psicoanalisi, i suoi sogni rivelatori, le corrispondenze tra il suo percorso di vita con le opere della scrittrice Virginia Woolf e del pediatra e psicanalista Donald Winnicott.
Proprio qui sta il maggior fascino, e anche il principale limite, di questo libro, che porta alle estreme conseguenze l'autobiografismo a fumetti perché lo trasfigura in una lunga sessione personale di psicoterapia che l'autrice decide di condividere coi lettori ma che soprattutto serve a lei per sciogliere i nodi del proprio vissuto. Mancando però il bersaglio, perché un eccesso di intellettualismo narcisistico fa inceppare irrimediabilmente la sospensione d'incredulità: la complicità tra autore e lettore non scatta e la lettura del volume lascia piuttosto un sapore di artificiosa pretenziosità.
L'impressione è poi acuita dalla confezione scelta da Rizzoli Lizard: perfetta sì, ma inutilmente costosa ed elitaria.