recensione diGiulio Verdi
Philadelphia 2.0
Dallas Buyers Club è Philadelphia, per giunta con l'aggravante che sono passati vent'anni. E con un'aggravante ancora peggiore: Jared Leto offre un'interpretazione che valica convintamente i limiti dell'oltraggioso: del resto è Jared Leto, e non ci si può aspettare più di tanto.
Un film sull'AIDS non deve necessariamente essere anche un film sugli uomini gay e/o un film tratto da una storia vera, ma se si sceglie di includere gli uomini gay e di ispirarsi a una storia vera:
[1] è bene sapere che c'è una differenza tra uomini gay, per quanto travestiti, e donne transgender: il personaggio di Leto è una donna transgender, ma tutti gli altri personaggi continuano a riferirsi a lui al maschile (spesso con l'epiteto "faggot"). Certo, è lecito presumere che un becero eterosessuale texano di fine anni '80 non fosse in grado di distinguere tra orientamento sessuale e identità di genere, ma è meno plausibile che non ci riuscissero dei medici. E sembra che anche gli sceneggiatori abbiano qualche perplessità irrisolta a riguardo. E anche Leto, ma d'altronde è Leto e non ci si può aspettare più di tanto;
[2] è sconsigliabile obliterare del tutto la bisessualità e la militanza pro-gay del protagonista giustificandosi con «il film non poteva durare sei ore», giacché sorge il sospetto che non sia un'omissione casuale: del vero Ron Woodroof il personaggio di McConaughey conserva soltanto l'omofobia (peraltro esasperata fino all'ultimo e senza motivo evidente, nonostante il vero Woodroof divenne tutt'altro che omofobo negli ultimi anni della sua vita) e la malattia;
[3] è del tutto legittimo aggiungere uno o più personaggi alla "storia vera": Rayon, interpretata da Leto, è inventata di sana pianta. La presente temperie cinematografica è abbastanza matura da permettere che qualche personaggio gay (o trans, ma in Dallas Buyers Club non si sta lì a sottilizzare...) sia malvagio e/o muoia senza che la comunità si stracci le vesti: se la malvagità e il decesso sono frutto di uno sviluppo narrativo motivato, ben vengano. Tuttavia, il personaggio di Leto richiama alla memoria quell'odore un po' vintage, diciamo un po' millenovecentocinquantatré, dell'ineluttabilità del triste esito per il personaggio non-eterosessuale (e anche Rayon parrebbe essere etero, ma in Dallas Buyers Club non si sta lì a sottilizzare...): in parole povere, Rayon non ha altra finalità narrativa se non quella di suscitare ribrezzo/pietà e morire. Ed è anche l'unico personaggio che muore. Di più: si capisce che morirà (e che è lì solo per quello) già dal primissimo momento in cui compare al fianco di McConaughey (che, naturalmente, lo allontana a suon di "faggot" come fa con tutti i froci che gli si avvicinano: scene di simile stupidità c'erano anche nell'illustre precedente, per esempio quella in cui Denzel Washington liquidava schifato un ragazzo gay al supermercato).
Mi servo di parole altrui: «A coloro che tentano di giustificare il film dicendo che è solo "la storia di uno" rispondo con un dato di fatto: è la sola storia di questo genere che l'industria cinematografica hollywoodiana si è sentita in obbligo di raccontare negli anni, probabilmente perché il suo contenuto non scontenterà del tutto il pubblico eterosessuale. Ne consegue che il più grande sostenitore che milioni di gay con l'AIDS posso ambire ad avere in un film contemporaneo e di successo è un uomo che li trova disgustosi».
Come Tom Hanks, probabilmente anche Matthew McConaughey vincerà l'Oscar: quantomeno lui è in grado di recitare. Si spera che, almeno in quell'occasione, avrà qualcosa di più pregnante da dire rispetto a «è stata dura perché ho dovuto perdere venti chili».