recensione diGiulio Verdi
Per sconfiggere le Tenebre vi sono solo due rimedi: o la Fede o l'Elettricità
Dopo un’incantevole parentesi culinaria, Alessandro Fullin è tornato con un romanzo che è persino migliore dell’illustre precedente Ho molto tempo dopo di te: Panico botanico riesce nell’impresa di coniugare la sua peculiare declinazione trestino-torinese del camp a una divertita diatriba tra Scienza e Fede (e Amore, perché non è vero che tertium non datur).
In un giardino sterminato e spaventoso Irina Lariovna, implacabile virago refrattaria all’abbandono delle proprie facoltà razionali, trascorre le sue giornate a schiaffeggiare aggressivi esemplari di Magnolia horrida e a rileggere improponibili pietre miliari della botanica come Restaurazione e Dittatura dei Gerani. L’eccesso di accademismo di Lariovna non viene mitigato nemmeno dalla visita della vecchia amica Melania Bridge, che è alla ricerca di specie rare da includere in un erbario d’imminente pubblicazione e invece trova le cosce marmoree del giardiniere Esteban. A completare il quadro c’è – naturalmente – una governante lesbica dal sapore hitchockiano, la signorina Prugineim: oltre a custodire il segreto della cupa magione, forse dietro la sua intransigenza e il suo aspetto lacedemone nasconde anche la chiave della felicità.
La penna di Fullin è agilissima e trova i suoi momenti migliori nei brevi motti con cui chiude ogni capoverso, unendo l’Amélie Nothomb dei tempi d’oro (ormai vent’anni fa) a un gusto decisamente cinematografico: alcuni paragrafi potrebbero entrare senza modifica alcuna in un film di Almodóvar. A una prima parte in cui si accumulano nefasti presagi segue una seconda parte che ha atmosfere da vero e proprio romanzo gotico, con un epilogo che niente ha da invidiare a Rebecca, la prima moglie.
Lo stile brachilogico e la brevità del volume rendono Panico botanico una lettura veloce, ma proprio in questo risiede la forza ironica dell'autore. Ironica, e non comica – come tiene a sottolineare Fullin stesso – perché il divertimento dev’essere una cosa seria, e non una scialba replica della realtà con l’aggiunta di slogan orecchiabili e turpiloquio gratuito (ogni riferimento alla quasi totalità dei comici italiani è puramente voluto).
Merita una menzione anche Giovanni Battistini, autore della gaia copertina (qui una versione alternativa).