Darren vs. Antonio

17 aprile 2014

La prima lettura di Sexy di Oates non mi aveva granché impressionato: la storia mi era sembrata piuttosto ordinaria, lo sviluppo del protagonista deludente. Conoscendo altre opere di Oates, lo avevo ingiustamente liquidato come un lavoro minore e poco ispirato. È stata una successiva lettura del racconto Un bacio di Ivan Cotroneo, analogo per struttura, brevità e ambientazione, a farmi rivalutare il testo della prolifica autrice americana.

Per le trame rinvio a queste due precedenti recensioni (qui Oates, qui Cotroneo).

Per qualche oscura ragione, molta critica letteraria e cinematografica fa della sospensione del giudizio da parte della voce narrante e/o dell'autore un punto di merito: è esattamente quanto succede nel racconto tripartito di Cotroneo, in cui l'omicidio di un giovane ragazzo gay sembra essere di volta in volta colpa della società, dell'urbanistica («Elena non ricordava se qualcuno avesse mai scritto un romanzo, magari un giallo, in cui si cercava un assassino, e invece di essere una persona, il colpevole alla fine era una città, con le sue quattro strade in croce e la sua brutta chiesa»), della solita insegnante che fa qualcosa ma non abbastanza e invece dovrebbe intervenire con superpoteri, dei soliti genitori assenti e violenti... insomma, un po' di tutti e un po' di nessuno.

Oates fa invece nomi e cognomi, e senza particolari remore distingue tra adolescenti buoni e adolescenti orrendi. Gli insegnanti, che sono esseri umani come tutti gli altri, hanno debolezze e preferenze: niente di male, è ovvio che sia così. I genitori sono lontani, impreparati e indaffarati in ogni caso: non sembra esserci un rapporto di consequenzialità necessaria e stereotipata tra le loro carenze e il comportamento dei figli, che anzi fanno di tutto per escluderli a loro volta e dimostrano di essere persone moralmente indipendenti.

Il racconto di Cotroneo pare essere stato costruito a orologeria per sfruttare le periodiche ondate di commozione collettiva (e dall'istantanea sfioritura) che si verificano ogni volta che c'è una giovane vittima omosessuale da piangere. È naturalmente lecito e anzi giusto commuoversi e provare orrore in casi di morte violenta, ma Oates sembra avere un'idea più vera e pragmatica di cosa sia l'omofobia e di quale sia la soluzione: non i soliti discorsi un po' banali sulla banalità del male né gli ecumenici panegirici auto-assolutori per famiglie da prima serata con Fazio e Saviano, ma piuttosto il coraggio di uscire allo scoperto, la richiesta di rispetto e tutele (nel paesello del testo di Oates nasce un gruppo di studenti gay) e – perché no dei calci nelle palle ben assestati.

La trita obiezione «ma siamo in Italia!», con tutto il corollario che va da «ma qui c'è il Vaticano!» a «ma qui siamo più indietro!», ormai non regge più: il voto cattolico non esiste da dieci anni a questa parte, l'acqua corrente e l'elettricità ce le abbiamo, e con Grindr anche i pastori gay delle più sperdute valli bergamasche possono scoprire che ci sono altri come loro nel raggio di cinque kilometri. Insomma, quello di Cotroneo mi è sembrato un esercizio di stile dall'approccio oltremodo fatalista e un po' datato, mentre Oates riesce a cogliere in maniera meno prevedibile e con vette di autentica profondità sia la portata delle umane tragedie sia l'essenza della provincia. Che può effettivamente essere ordinaria e deludente, ma non è che debba esserlo per definizione.

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