L'homme de désir

18 aprile 2014

L’homme de désir ovvero Domenica maledetta domenica come lo potevano concepire in Francia, e cioè con l’aggiunta di un filtro cerebrale necessario a sublimare la vicenda, di per sé alquanto basso-material-corporea: lui (Etienne) è sposato con lei (Valentine) ma si innamora dell’altro (Rudy), un fanciullo ancora minorenne che si prostituisce e vive di crimini di periferia. E lei è consenziente, poiché il suo motto più o meno è: “Ti amo talmente tanto che non posso non amare anche altri”. Etienne non se lo fa dire due volte arrogandosi il diritto di esercitare a sua volta un sì esorbitante amore.

Si tratta tuttavia del consueto triangolo bisessuale post-sessantottino sbilanciato nella rappresentazione (i due maschi si amano davvero, ma a letto ci finiscono solo Rudy e Velentine), reticente nel lessico (la parola omosessualità non si pronuncia mai, anche se di quello si tratta ed Etienne dichiara apertamente il suo amore per Rudy), infine morboso nella sostanza: l’amour fou di Etienne non tiene conto del fatto che l’efebo si presenta per quello che è, un poco di buono votato alla distruzione, mentre l’apertura della coppia è solare solo a parole, causando nei fatti continue sofferenze sino a concludersi nella morte.

Una morte la cui necessità appare come il frutto artificioso di una volontà di portare il dramma all’estremo e di far imperare oscuri moventi di sensi e sentimenti sulla semplice ragionevolezza dell’affetto. L’intreccio procede insomma con la stessa teatrale meccanicità delle movenze impacciate di François Timmerman, attore che ha lavorato poco e quasi esclusivamente in televisione, come del resto il bel tenebroso Eric Laborey.

Dal canto suo, la regia di Delouche è scostante e alterna silenzi efficaci, con dettagli su sguardi fugaci che non avrebbero bisogno di parole, a verbosità superflue e a semplici sciatterie (l’aggressione del cane, che si conclude con l’animale morto che se ne sta steso a terra sbattendo gli occhioni tutto felice della sua prestazione pregustando il biscottino che la premierà). Rimane poi enigmatico, ma più per trascuratezza che per suggestione del suo carattere, l’amico di Etienne che gli dà la benedizione.

Insomma nel confronto Schlesinger batte Delouche a man bassa, anche se L’homme de désir mantiene un certo sentore dell’epoca che lo rende interessante retrospettivamente e apre qualche squarcio su un certo sottomondo gay che allora raramente si vedeva al cinema (tra luoghi di battuage e un “bagno” per soli uomini che funziona in realtà da bisca clandestina).

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