recensione diDaniele Cenci
Cronista della solitudine
Una melochecca impasticca la madre fino a farla crepare; un uomo avvelena con una siringa il suo spacciatore; una donna fa a pezzi e poi cucina chi l'ha costretta a vendersi; un grassone viene strozzato con una catena in un cesso; un tizio massacra un "affabulatore girovago" suo ex-amante per rubargli poesie... Incubi insondabili intrisi dello humour dei maestri yiddish, teatrini della crudeltà attraversati da cabalistiche rivelazioni: ossessiva, fin nella struttura, la presenza del 7 e dei suoi multipli, 'segni, cifre e lettere' premonitori.
Siamo attratti dagli abissi di una follia tanto più inattesa quanto più occultata nelle pieghe di un'insopportabile quotidianità.
Quarantanove crimini gratuiti perpetrati nell'arco di sette settimane, resi con uno stile fulminante carico d'esoterica magia e sapienzialità talmudica.
Delitti senza castigo, che spiazzano per la loro sproporzione: l'assurdo e la "banalità del male" (evocata da Hannah Arendt nelle grandi carneficine del '900) qui si traducono in inquietanti, livide atmosfere prossime ai montaggi di "Une semaine de bonté" (1934) di Max Ernst e ai "Delitti esemplari" (1957) di Max Aub.
E se gli idilli di "Bestie" (1917) di Federigo Tozzi si concludevano ogni volta con atroci uccisioni di animali, qui, al contrario, sanguinose vendette sono siglate dall'epifania di una natura antropomorfa, unica silenziosa testimone degli omicidi:
"Le nuvole a branchi si sfaldano e si incrociano senza stridore alcuno, neppure un piccolo brusio".
Il libro è illustrato dalle tavole surrealistiche e dada di Battistini, Ceccato e Uberti.