Cancellare le distanze. Intervista ad Antonio Veneziani su "Cronista della solitudine"
Intervista di Gianfranco Franchi. Riedita con il gentile consenso dell'autore.
49 racconti brevi: sette settimane, uno al giorno. Cronista della solitudine è un libro importante, parte d'una trilogia inaugurata da Fototessere del delirio urbano (1994), libro che l'artista ama molto.
Ho incontrato il poeta Antonio Veneziani nel caffè letterario Bibli, a Trastevere. Mi ha sorriso e mi ha spiegato che 49 "è un gioco, è un multiplo di sette. Sette è il numero di giorni in cui si dice sia stato creato il mondo. Io credo il mondo venga da un gioco di incontri e scontri, mi piace pensare che tutto abbia avuto inizio in sette giorni". Poi ha guardato altrove, si è acceso una sigaretta.
"In questo libro c'è molto della mia vita. C'è l'ebraismo, c'è la diversità, c'è il gioco. Un gioco privato e personale, che spero diverta il lettore".
E ventuno disegni - 3 volte 7 - di tre artisti: Maurizio Ceccato, Serge Uberti e Mattia Battistini.
Domando cosa significhi essere salutato come un artista anarchico. Quale sia l'essenza della sua anarchia. Veneziani non si tira indietro.
"Sono anarchico, comunista, omosessuale (la militanza omosessuale è fondante, nella mia esistenza), ebreo, vegetariano, ecologista. Ho sempre scelto quello che mi piaceva. Devo dare prova di coerenza, oggi la coerenza è impopolare ma per me è così.
La mia anarchia è bianciardiana e stirneriana. L'anarchia è spesso stata considerata il rifugio dei disgraziati, la sua inapplicabilità è un pensiero comodo. Io penso a Stirner, certo, ma anche a Malatesta, a Bakunin".
C'è un momento di silenzio, poi Veneziani muta tono e sembra confidarsi:
"Ho sempre dato una possibilità e una chance a qualcuno, magari meno in grado di affrontare la vita, per questioni di lingua, di etnia, di differenza sessuale, di povertà. È un discorso finto romantico, forse, ma io ci credo ancora.
Dicono che sono sempre contro tutti, ma in ogni caso io non amo esserlo. Il vero anarchico vuole che ciascuno sia lasciato libero".
Veneziani parla del nostro tempo.
"Viviamo un periodo storico-letterario con tante possibilità, e tanti tarpamenti di ali. Internet è una grande opportunità di libertà, e tuttavia rischia d'essere una gabbia dorata sia per il sesso che per la letteratura.
Viviamo l'oscenità del politicamente corretto. Un termine non basta a guadare un fiume: serve altra educazione, altra libertà, altra capacità di andare oltre... Edmund White mi diceva: 'Ho passato la vita a diventare scrittore. Prima ero un omosessuale che scriveva, oggi sono uno scrittore omosessuale'.
Credo che dobbiamo passare per il corpo. L'artista deve sentire il suo essere nero. È un problema che non va scavalcato...
I nodi fondamentali dell'esistenza sono mangiare, in senso allegorico, ecco, nutrirsi di tutto; scopare bene, e quindi rapportarsi bene nei confronti di tutto, infine essere felici, e quindi più produttivi e più disponibili".
Nato a Piacenza, vissuto tra Roma e dintorni, quindi...?
"Quindi trasferito a Roma, Roma è stata la mia base.
Ho scelto di andare in giro per il mondo. Per via della pigrizia e di diversi impegni adesso avviene meno.
Ho viaggiato molto. Spesso non si conosce viaggiando, non si hanno vibrazioni di conoscenza: semplicemente, maturano e cambiano le prospettive.
Io viaggiavo per vedere davvero cosa significavano povertà, guerra, miseria.
Tutto questo riduce la percezione di gravità nelle cose della propria esistenza. E t'insegna che non si può non essere pacifisti..."
La Scuola Romana: Pasolini, Penna, Bellezza, Veneziani.
"È una definizione nata a posteriori, ma il movimento è esistito. Ci richiamavamo a certi stilemi e intendevamo superarli. È stato - è - un percorso poetico intorno e dentro Dio, intorno e dentro l'umanità.
La Scuola Romana è stata importante. Penso a Renzo Paris, alla povera Amelia Rosselli che se ne è andata, a Gino Scartaghiande, Alberto Toni. Siamo ancora amici: il confronto è vivo.
Questo confronto è qualcosa di estraneo, credo, alle nuove generazioni. Hanno dimenticato che l'ego ha bisogno di essere smussato, e invece il cinismo mediatico ha insegnato loro a non parlare più dei libri o delle mostre, magari, ma del contorno, del contesto, dello scandalo.
La confezione gioca un ruolo prepotente e stupido. Oggi si va attorno al libro, non nel libro. I giovani sembrano avere paura di lasciarsi andare. Invece devono lasciarsi andare, devono lavorare sulla parola e sui sentimenti. Devono cancellare le distanze".
Tre grandi sentieri, nella sua produzione.
"Sì. Ma io mi sento un poeta. Non sono un vero narratore: mi presto alla narrativa. Adoro la prosa d'arte italiana, penso al Tozzi di Bestie. Scrivo poi delle inchieste, come quella importante sulla prostituzione maschile, I mignotti, o quella sugli anziani omosessuali, La gaia vecchiaia: sono memorie, frammenti di vita, ai quali mi dedico con l'animo di chi vuol fare arrivare a più persone colori e senso d'una vita diversa".
Pausa. Cambia il tono.
"Credo nell'avanguardia calda, non nell'avanguardia fredda. Amo la cerebralità comunicativa di Sebald. Quel che detta legge è l'opera: lavoro, partecipazione, coerenza, onestà".
Fermiamoci qui, ci siamo. A questo punto, volevo si parlasse delle illustrazioni e della casa editrice, Hacca.
"Ceccato, Uberti e Battistini sono tre amici, tre artisti che apprezzo molto. Le loro non sono semplici illustrazioni, si tratta di racconti nel racconto di una delle mie settimane. Sono stupendi interventi diegetici...".
"Hacca è una piccola casa editrice, nata da un paio d'anni. La linea editoriale è caratterizzata da una grande sensibilità nei confronti degli autori italiani, esordienti e non solo. Credono nell'editoria di qualità, puntano al catalogo. Dal prossimo gennaio, proporranno una collana di classici rivisitati che mi sembra estremamente interessante".
Attorno a noi, intanto, si sono radunati dei ragazzi. Osservano e ascoltano il poeta, guardano la copertina del libro, seduti ai tavoli a fianco a far finta di parlare d'altro. Non hanno perso una battuta.
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Veniamo all'opera. Scrive, esatto, Giancarlo De Cataldo:
"(...) Nei quarantanove brevi racconti che compongono la raccolta, scanditi dallo scorrere e dall'alternarsi di sette settimane, si narrano, con leggerezza struggente, omicidi efferati o teneri, forse compiuti e forse, anzi sicuramente, solo immaginati.
Scorrono figure di marchettari angelici e di vendicatori estenuati, e bellezza e turpitudine s'incrociano, quasi come in un quadrato magico, con effetti, talora, di viva poesia; talaltra di violento realismo.
Il reporter di strada dei Mignotti, l'intellettuale ebreo che riscopre le sue radici in Shalom e il desperate addict di Brown Sugar si ricongiungono, riconciliandosi, nella figura di uno scrittore vero.
Uno scrittore dalla voce così autenticamente anarchica da potersi persino concedere, dopo una vita urlata contro ogni Dio e ogni padrone, il lusso di un'irrequieta serenità".
Cronista della solitudine è un'opera giocata per lingua letteraria scarnificata, pretesa essenzialità e intelligente umorismo yiddish.
È amaro divertissement, composto per intervalli, assenze, reminiscenze; è noir soltanto nell'epilogo di certe vicende, tutto il resto è uno scintillare di colori vivi o seducenti e vaghi.
Si chiamano desiderio, oltraggio, passione, memoria.
49 frammenti d'esistenza, descrizioni dell'istante che non torna e dell'innesco della distruzione, della sua sovrana consapevolezza, della sua renitenza al rimorso e al rimpianto, della sua malinconica necessità. Così:
"L'ho ucciso con la sua rosa del deserto; certo quella che salva dalle disgrazie.
Se non l'avessi fatto non avrei più potuto far uso di aggettivi e avverbi.
In terrazza, le rose autunnali che proprio Gherard mi ha venduto, hanno messo fuori fiori, gonfi come l'ombra della mia solitudine" (p. 85).
Quando Veneziani vira sui dialoghi sospende il tempo e ti lascia ascoltare ritmo e tagli del parlato.
Queste sue prose vanno per rapide pennellate, nitide e evocative: l'ambiente - il contesto - e quindi l'istantanea della distruzione dell'equilibrio, grottesca o paradossale (non a caso Paris nomina Nove, tra le plausibili letture a monte), a ristabilire il dominio della letterarietà sul noir, a ricordare che prima viene Letteratura, quindi genere. A insegnare che il tempo nuovo s'appella e s'uncina agli scrittori, banditi gli scriventi e le loro confezioni.
"E ora, nella mia stanza vuota e nel mio letto disadorno, il mare e l'autunno torneranno a naufragare.
Ed io ridiventerò un Hotel di ricordi e di insonnia" (p. 44).
Leggete, quindi fermatevi a interiorizzare le illustrazioni. Quindi tornate a leggere, giocando, aprendo a caso. È poesia nera, non narrativa.