The Rejected

31 luglio 2015

Il ritrovamento di The Rejected dagli archivi della Library of Congress restituisce un frammento interessante della storia della rappresentazione televisiva dell’omosessualità. Prodotto nel 1961, si tratta di un pionieristico documentario trasmesso con successo da un’emittente californiana e poi da una rete di altri canali in tutti gli Stati Uniti. Il tema era decisamente nuovo e scabroso per l’epoca, tanto che il direttore dell’emittente sentì la necessità di introdurre il filmato, sottolineando l’esistenza del «problema dell’omosessualità», annunciando con toni non proprio rilassati un documentario obiettivo sull’argomento e chiudendo con la lettura integrale di una lettera di un procuratore che si felicita per la scelta di affrontare finalmente un problema «che non se ne andrà da solo».

Nonostante ciò, mi pare riduttivo limitarsi a presentare The Rejected come un timido tentativo di accreditare la visione corrente degli omosessuali quali malati mentali, cui i militanti dell’epoca si contentarono di aggiungere un “però non gravi” (è quanto nella sostanza fa Capsuto nella sua storia della rappresentazione dell’omosessualità nella televisione americana). L’inizio del documentario sembra in effetti promettere il peggio, con la ripresa ravvicinata di un paio di gambe di un uomo che cammina per strada in mezzo alla folla (evidentemente ignara della sua omosessualità), con accompagnamento di musica drammatica. Tuttavia gli interventi che compongono il documentario sono perlopiù apologetici.

Si comincia con Margaret Mead, la quale sottolinea a più riprese che l’omosessualità esiste in quasi tutte le culture umane ed è esistita in tutte le epoche, mentre il modo in cui è considerata e trattata è solo una questione di cultura. Le fa seguito il settantenne psichiatra Karl Bowman, il quale fa quello che può fare uno psichiatra, cioè cataloga i possibili tipi di omosessuali dell’universo. Anche in questo caso, però, se si considera che, su incarico dello Stato della California, nove anni prima aveva redatto un rapporto in cui non escludeva che la castrazione potesse rappresentare la soluzione al “problema”, non si può che rilevare un cambio di rotta considerevole: sudaticcio e un po’ stentato, Bowman usa infatti ora la sua disciplina, nonché la propria autorevolezza in materia, in un modo decisamente più illuminato, leggendo la celebre lettera alla madre di un omosessuale in cui Freud sostiene che è ingiusto punire gli omosessuali e citando le statistiche di Kinsey.

È poi la volta di Albert Bendich, avvocato e giovane docente universitario, che si era già fatto un nome per aver difeso nel 1957 Ferlinghetti al processo contro la pubblicazione di Howl di Ginsberg. Bendich si diverte con pacata sistematicità a dimostrare l’incoerenza delle leggi che regolano i comportamenti sessuali in giro per l’unione, vietando in particolare la sodomia (non solo omosessuale) e i rapporti orali. Gli fa eco il – diciamo così – prefetto di San Francisco, il quale nella sostanza riconosce la sostanziale inutilità della legge contro la sodomia, visto che è punibile solo in caso di lamentela di un terzo presente, il che consente di punire un numero irrisorio di “crimini”, nonostante questi possano avere conseguenze che definisce “scioccanti” (deve pur difendere il suo mestiere), come nel caso di influenze sulla salute pubblica. La battuta serve a introdurre un medico dall’aspetto triste e dimesso, cui spetta il compito di sciorinare qualche statistica sulle malattie veneree. Anche costui è però fermo nel suo appello ai responsabili della sanità pubblica perché facciano informazione oggettiva e priva di pregiudizi, soprattutto in favore dell’uso del profilattico che gli omosessuali, per ovvie ragioni, tendevano a non usare.

A questo punto un avvocato di destra e uno progressista si succedono in una sorta di appello pubblico, e l’aspetto rilevante è che, dato il tenore sino ad ora seguito da tutti gli intervenuti, è il primo ad apparire debole e fuori luogo. Il suo intervento è in effetti molto breve, mentre quello del suo avversario è decisamente più consistente e meglio argomentato, nonché infervorato. Soprattutto gli fa seguito, come ad affermare la visione corretta su quella parziale e pregiudizievole. Tanto che persino il rabbino e il prete intervistati a ruota sottolineano la necessità della tolleranza.

La parte più interessante del documentario è quella girata nella sede della Mattachine Society, per dare la parola al suo presidente e ad altri due esponenti, i quali ovviamente danno prova di quella forma di militanza propria della fase pre-Stonewall, ferma nelle sue posizioni ma tutta intesa a dare una rassicurante impressione di conciliante normalità. Già all’epoca non erano pochi i malumori nei confronti di una militanza così beneducata e timida nei toni, e presto sarebbero seguiti tentativi di rompere gli argini di questa accettazione piena di limitazioni e di paternalismo, ma è proprio per questo The Rejected rimane una testimonianza di indubbio interesse storico.

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