La patata bollente

20 settembre 2015

L'anno prima de La patata bollente era uscito Il vizietto che, coi suoi incassi miliardari, aveva dimostrato che il pubblico generalista era pronto a ridere degli invertiti per tutta la durata di un film, mentre di solito questi erano relegati a siparietti sbrigativi atti a suscitare risolini estemporanei e canzonatori. Il vizietto aveva anche dimostrato che lo spettatore medio poteva essere persino disposto a degnare quegli infelici di un sorriso benevolo e condito di simpatia, a patto che fossero casti, melensi e totalmente scriteriati... e anche economicamente autosufficienti, in modo tale da vivere secondo le loro bizzarre regole in un mondo separato (“la gabbia delle pazze” indicata dal titolo originario).

La patata bollente tenta di compiere un passo in avanti introducendo un discorso di solidarietà che, nel mondo a parte in cui vivono Renato e Albin ne Il vizietto, non avrebbe trovato posto. È vero che a un certo punto Renato (Ugo Tognazzi) viene malmenato da un bullo da bar, ma lo spettatore non percepisce questo fatto come un'aggressione omofoba, mentre la situazione che dà avvio all'intreccio de La patata bollente è il pestaggio del giovane attivista gay Claudio (Massimo Ranieri) da parte di una marmaglia di biker neonazisti.

Claudio viene salvato da un operaio comunistissimo soprannominato “Il Gandi” (Renato Pozzetto), che lo porta a casa propria e lo cura amorevolmente, infilando una gaffe dietro l'altra prima di accorgersi dell'orientamento sessuale di Claudio: «Ti ho portato un grappino, perché ho pensato che la camomilla è una roba un po' da culi». Il Gandi comincia presto a sospettare i gusti del suo protegé perché tempestivamente arriva la telefonata del fidanzato di Claudio, un frocio fragoroso facilmente identificabile persino dal Gandi, tanto lento di comprendonio quanto digiuno in materia di omosessualità.

«Mica cammini come quelli là!» esclama sgomento quando Claudio conferma i suoi sospetti. «Perché, quelli là come camminano?» chiede allora il giovinotto, e il Gandi si produce in una passerella sculettante. Claudio (altra mente illuminata) spiega pazientemente: «Ma quelli che camminano così sono checche, mica tutti gli omosessuali sono checche!».

La patata bollente – nella sua mescolanza un po' sgraziata di toni ameni e amari – è quasi ammirevole nella dimostrazione della tesi che la paura della diversità è data dall'ignoranza... ma non è che Renato Pozzetto, in qualità di rappresentante di un pubblico indiscutibilmente eterosessuale, si faccia una gran cultura in materia di omosessualità. Claudio, che non ripone grandi aspettative sull'intelligenza del suo “allievo” (come del resto Steno non si fida granché della sensibilità del suo pubblico), parte dall'ABC: quando conduce il Gandi nella libreria gestita dalla Lega degli Omosessuali (un covo di macchiette di terza mano), gli regala un librone dal titolo I grandi omosessuali della Storia (da Cesare a Proust). La lettura di tale mattone fornisce allo sbigottito Pozzetto l'occasione per prorompere in uno dei suoi mitici «Elamadonna!».

La patata bollente, a voler essere cattivi, può essere definito come un film doppiogiochista, che si adopera per smontare i preconcetti del protagonista e dello spettatore medio, ma che al contempo si diverte a riciclare i cliché più spudorati: i gay si innamorano di chiunque, flirtano con chicchessia e tentano il suicidio alla prima occasione; le vecchie checche odiano sempre le donne (quando Edwige Fenech e un'amica entrano nella libreria di Claudio, un commesso ulula «Due donne qui? La fine del mondo!») e, se lasci da solo un omosessuale nel tuo appartamento, al tuo ritorno troverai un arredamento e un décor degno di un bordello algerino («Ma questa è la casa di Wanda Osiris» commenta Pozzetto vedendo il restyling di casa sua operato da Ranieri).

Non si può comunque dire che la decostruzione della mentalità schematica del Gandi sia priva di efficacia: «Tu non hai paura di un'intera banda di picchiatori e ti caghi sotto per una portiera» fa notare Claudio mentre il Gandi sta pensando al modo di farlo entrare in casa sua senza farlo scorgere dalla portinaia impicciona (Clara Colosimo). «Eh, certo, – risponde il Gandi – sono le contraddizioni del sistema». Poco dopo il Gandi scopre con grande sorpresa che Claudio, invece di essere un piccolo borghese deviato come pretenderebbe la sua ideologia, proviene da una famiglia proletaria ed è stato a sua volta operaio nella prima giovinezza. Questa volta è Claudio a rispondere «Sono le contraddizioni del sistema».

Ma l'argomento che fa più presa sul Gandi è il classico adagio «il nemico del mio nemico è mio amico»: se i “culattoni” sono nemici dei fascisti e se i comunisti odiano i fascisti, allora i comunisti presto o tardi dovranno diventare amici dei “culattoni”. Almeno in questa intuizione Renato Pozzetto si mostra, per una volta, lungimirante.

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