Tutta un'altra storia

25 ottobre 2015

(Nota: Questo è il testo che il prof. Luciano Allegra dell'Università di Torino ha letto alla presentazione del libro tenutasi a Torino, il 2 ottobre 2015, presso il Circolo dei Lettori.
Ripubblicato qui per gentile concessione dell'autore):

In preparazione di questa presentazione ho voluto verificare nel Catalogo unito della nostra università quanti altri libri sul tema della storia dell'omosessualità fossero presenti. Il risultato è stato: quattro:
  • Paola Lupo, Lo specchio incrinato: storia e immagine dell'omosessualità femminile, Venezia, Marsilio, 1998.

  • Kenneth J. Dover, L’omosessualità nella Grecia antica, Torino, Einaudi, 1985

  • Bernard Sergent, L’omosessualità nella mitologia greca, Roma-Bari, Laterza, 1986

  • Martin Sherman, Bent: nazismo, fascismo e omosessualità, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1984

Ho allora esteso la ricerca all'OPAC del Servizio Bibliotecario nazionale, che mi ha reso tre ulteriori titoli:

  • Robert Aldrich (a cura di), Vita e cultura gay: storia universale dell’omosessualità dall’antichità a oggi, Venezia, Cicero, 2007.

  • Luciano Marcello, Società maschile e omosessualità: Firenze: 16.-17. sec., tesi di laurea in Storia Moderna

  • Giuseppe Previtali, Storia e cultura dell’omosessualità, Patti, Kimerik, 2010

Attraverso il soggettario sono riuscito a mettere assieme 11 titoli, fra cui alcuni nomi noti, come Boswell, ma non, curiosamente, quello di Foucault. Per cui ci si chiede in base a quali criteri venga compilato il soggettario.

Dopodiché sono andato sul sito della Library of Congress statunitense, ed ho cercato con le parole-chiave “History homosexuality”: il risultato conta esattamente 1276 titoli, che quasi raddoppiano digitando “Gay history”, che restituisce 2162 titoli.

Deduciamo due osservazioni: la prima, la più importante, è che l’attenzione al tema del mondo americano è letteralmente mille volte la nostra – e ovviamente non si tratta solo di maggiore disponibilità di risorse. La seconda è che in particolare il mondo accademico italiano da quell’orecchio proprio non ci vuole sentire: 4 testi in tutto e per tutto sull’argomento, uno dei quali per altro dedicato alla storia del lesbismo, e due a quella dell’omosessualità nell’antica Grecia.

Il libro di Dall’Orto parte da qui. Non tanto dalla pretesa di coprire un buco clamoroso negli scaffali delle nostre biblioteche, che magari non si accorgeranno neanche del suo e non lo compreranno – in realtà 29 biblioteche l’hanno già acquistato, ma, guarda caso, nessuna di queste è universitaria. Il libro nasce piuttosto dal desiderio di capire il perché di questo silenzio, o meglio di questo occultamento di una realtà così importante, e vuole ricostruirne la storia.

Una storia, come tutte le storie che si rispettano, molto lunga e anche molto ambiziosa. Si tratta, lo dico subito, di un libro molto bello, che solleva una miriade di problemi e che contiene anche qualche aspetto su cui varrebbe la pena discutere più a lungo, come del resto solo i bei libri riescono a fare. Vi invito a non fidarvi al 100% delle premesse. Dall’Orto dichiara con molto understatement nelle prime pagine di aver messo insieme un libro di divulgazione. Non è vero, anche personalmente apprezzo molto le opere di divulgazione, che possono essere anche di altissimo livello, spesso molto meglio dei paludati lavori accademici. Il libro espone il frutto di ricerche di prima mano, di spogli archivistici, di interpretazioni di testi letterari compiuti tutte dall’autore, certo, solo sui terreni a lui più congeniali, non si può controllare lo scibile e 2500 anni di storia nella stessa misura. Dunque, non è semplicemente la sintesi, il collage di cose scritte da altri.

Devo confessare che nell’accostarmi a questo libro avevo un sentimento di diffidenza: non certo di fronte all’argomento, quanto al periodo che copre, dall’antica Grecia fino agli anni cinquanta del Novecento. Temevo appunto di trovarmi davanti a uno dei soliti centoni, una sorta di manuale universale di storia della omosessualità; insomma quelle minestre riscaldate e noiosissime nelle quali semmai è proprio l’editoria accademica a brillare. Invece è proprio un’altra storia, anzi è proprio storia, altro che manuale. È storia perché Dall’Orto, pur seguendo un filo cronologico, non solo affronta in ognuno dei capitoli un problema specifico, ma lo fa dandone quasi sempre una interpretazione nuova rispetto alla letteratura precedente: i capitoli dunque non sono ricapitolazioni, ma appunto esposizioni di argomentazioni nuove, spesso curiose, sempre rigorosamente documentate e convincenti – incidentalmente il libro contiene 180 pp. di note su 550, intelligentemente poste in calce, in modo da non spezzare il ritmo della lettura.

Di che cosa parla il libro? Anzitutto è un libro prevalentemente centrato sul caso italiano, anche se le premesse, in un certo senso obbligate, affondano nella Grecia antica, e se a partire dall’età moderna l’autore si abbandona ad alcune scorrerie in altri territori, dall’Inghilterra all’Olanda, dalla Francia al mondo mediterraneo, dalla Spagna alla Germania. Il fuoco però rimane fisso sul nostro Paese. Ma soprattutto di chi si parla? Chi si aspetta la solita collezione di medaglioni di grandi della storia, quelli che in genere vengono chiamati a raccolta per sostenere l’orgoglio omosessuale, rimarrà deluso: l’attenzione è posta piuttosto sugli altri, sulla gente comune, quelli che non avremmo mai conosciuto se non fossero incappati per un verso o per l’altro nelle maglie della giustizia o negli strali di qualche pasquinata. Ma, badate bene, non è una storia vittimistica, tesa cioè a usare le vicende e le storie di vita degli omosessuali del passato per parlare in realtà delle strutture repressive, dei sistemi di controllo sociale, delle categorie discriminatorie ideate dalla società più ampia. Non che questi argomenti non vengano toccati, ma il vero fulcro dell’argomentazione sta tutto nella ricostruzione delle esistenze degli omosessuali, dei loro modelli di vita, delle loro relazioni affettive e sessuali, dei loro escamotages per evitare di incappare negli organi di controllo, dei loro sentimenti e dei loro modi di vivere la propria sessualità.

Una storia delle persone, dunque, non una storia delle istituzioni. Ma questo sguardo micro, dal basso, non impedisce a Dall’Orto di affrontare i grandi temi di questa storia. Due per tutti: il primo è il tema delle origini e dell’evoluzione linguistica e filosofica di quello stigma millenario che ha bollato l’omosessualità come “peccato contro natura” o “atto contro natura”. Il secondo tema, perfino più cruciale di questo, è quello che ha legato per duemila anni l’omosessualità alla pedofilia, una assimilazione che ancora oggi è tristemente abbarbicata nell’immaginario collettivo di molti e non solo di personaggi folkloristici come, tanto per non fare nomi, l’onorevole Carlo Giovanardi. Bene, Dall’Orto mostra non solo come si sia assistito, nel corso dei secoli, al passaggio graduale degli amori omosessuali da una predilezione per i giovani adolescenti – che non significa certo bambini – alla attuale preferenza per un Idealtypus di amante completamente diverso, sia sotto il profilo del fisico, sia sotto il profilo dell’età anagrafica, e questo in perfetto parallelo con l’evoluzione dei gusti della società intera. Ma dimostra come l’antica inclinazione per accoppiarsi con giovani fosse perfettamente speculare alla struttura patriarcale delle società del passato, fondate su rapporti asimmetrici, dunque di dominio del maschio, anche nei rapporti eterosessuali. Solo che questi rapporti venivano considerati “naturali”, mentre gli altri no. Ma poi, altro pregio del libro, quello sguardo micro non impedisce di sfatare di fronte al pubblico alcuni dei preconcetti e dei sentito dire più radicati, come l’idea che nel mondo greco le pratiche omossessuali fossero liberamente accettate e condivise da gran parte della popolazione, o quella secondo cui sarebbe stata la chiesa delle origini a imprimere un giro di vite moralistico, prescrittivo e restrittivo nei confronti degli omosessuali – il che non comporta una assoluzione dell’atteggiamento della chiesa, a cui nel corso delle pp. successive vengono continuamente lanciati strali e frecciate pungenti.

Ma certamente il punto nodale, direi il filo rosso intorno al quale si annoda il senso intimo del libro, tanto che tutta la documentazione viene richiamata costantemente in gioco per sostenerla, è una confutazione: la confutazione di una ipotesi avanzata da molte frange autorevoli di storici dell’omosessualità. Quella secondo la quale l’omosessualità, intesa come piena coscienza di sé come orientamento sessuale, sarebbe una invenzione relativamente recente, databile alla metà dell’Ottocento. Si tratta di un’ipotesi che viene fortemente sostenuta dal movimento omosessuale statunitense, e dalla quale molto sensatamente Dall’Orto prende le distanze, denunciandone non solo le pretese di egemonia, ma soprattutto dimostrando che la storia dell’omosessualità, per lo meno quella del mondo occidentale, narra davvero un’altra storia. E cioè che le tracce di una autoconsapevolezza del proprio orientamento sono ben preesistenti e risalgono, almeno nel caso italiano, al Rinascimento, ma col sospetto che, se solo la documentazione fosse più abbondante, potremmo andare molto più indietro. Se di nascita si può parlare, questa secondo Dall’Orto andrebbe riferita semmai alla creazione e diffusione di subculture omosessuali, intese come reti stabili di relazione nelle quali venivano condivise pratiche sessuali, comportamenti, affetti e sentimenti; e questa sarebbe avvenuta effettivamente nei secoli di trapasso fra l’epoca moderna e quella contemporanea, anche se tracce si trovano già nella realtà urbana del Trecento.

Su questo punto io forse sarei stato ancora più radicale. Nel senso che credo che bisognerebbe rifuggire dalla tentazione di dare, della storia dell’omosessualità, una interpretazione storicista, e cioè evoluzionista, mirata in sostanza a dire che una volta l’omosessualità era più un comportamento che una inclinazione, o che i networks o le subculture omosessuali si sono diffuse solo col tempo: insomma che la piena autocoscienza del proprio orientamento sessuale sia stata raggiunta lungo una lunga catena evolutiva che è passata dal regno delle tenebre a quello della luce, non senza travagli e dure lotte. Fermo restando che questo è successo, e che dunque solo attraverso travagli e dure lotte si è raggiunto un grado accettabile, seppur ancora basso, di riconoscibilità pubblica e di diritti; bene, fermo restando questo, non c’è dubbio, e la documentazione in proposito è imponente, che a livello individuale, e aggiungo anche di gruppo, la coscienza del proprio orientamento sessuale ci sia sempre stata. Con questo non voglio dire che i rapporti omosessuali siano sempre stati gli stessi, perché ovviamente si sono trasformati come tutti gli altri; voglio solo dire che non bisogna rimanere intrappolati nel vischio delle fonti, che non sono si rarefanno andando indietro, ma sono sempre meno eloquenti e dunque rischiano di non dirci ciò che invece c’era e che non riusciamo neppure a leggere fra le righe. Una cosa è leggere le lettere di Machiavelli, in cui lo scrittore si arrischia a dichiarare un parziale outing, o leggere un processo a un sodomita nell’Italia del Seicento, e ben altra è aver a disposizione solo un libro apocrifo di Aristotele o un commento del Talmud a un passo biblico. Nel primo caso, carta canta, nel secondo dobbiamo andare con i piedi di piombo e non possiamo sostenere ciò che in realtà è, se non certissimo, quanto meno probabilissimo: e cioè che anche lì eravamo in presenza di coscienza e subculture omosessuali. Se evoluzione c’è stata, questa ha riguardato semmai gli atteggiamenti del mondo non omosessuale e le istituzioni e i poteri, perché sono soprattutto questi ultimi che hanno permesso a noi di studiare l’omosessualità, emanando decreti, istruendo processi, stilando tassonomie, ragionando su presunte cause. In sostanza, sono state loro che hanno prodotto le fonti di cui ci serviamo, fonti varissime per ogni epoca, perché ogni epoca ha alternato repressione e tolleranza, e perciò quelle fonti sono l’esito di un continuo confronto di poteri, che si giocava la prerogativa di controllare, dirimere e legiferare anche in merito ai comportamenti privati delle persone. E quando le fonti non cantano non è perché non avevano niente da dire, ma è solo perché non volevano dire.

Io mi sono occupato a lungo di storia ebraica. Bene, io trovo una straordinaria coincidenza fra le vicende degli ebrei e la storia raccontata da Dall’Orto, non semplicemente perché ebrei e omosessuali finirono drammaticamente entrambi nei lager nazisti, ma perché hanno funto per secoli come una risorsa politica strategica nelle lotte di potere, un vero e proprio capro espiatorio nelle fasi critiche attraversate dalle popolazioni del passato. Pensate che alcuni medici tedeschi nel ‘600 sostenevano che i maschi ebrei avessero le mestruazioni e dunque non erano uomini veri… proprio come gli omosessuali. Al momento buono, dunque, dagli all’ebreo o dagli al sodomita.

Non era solo il gioco delle istituzioni e dei poteri. Spesso anche in basso si ragionava negli stessi termini e lo dimostrano le varie ondate di caccia alle streghe, quelle vere, che percorsero l’Europa e l’America moderne. Sì, c’erano gli inquisitori che conducevano le danze, ma le accuse venivano quasi sempre lanciate dal basso. E così accadeva nel caso degli omosessuali. Certo è una impresa ardua cercare di capire quali fossero gli atteggiamenti della gente comune, e quindi non dei filosofi, degli uomini di chiesa, dei moralisti, nei confronti degli omosessuali. Ma è altrettanto certo che le forme di tolleranza o di indifferenza dovevano essere ben radicate, dal momento che nelle cerchie di amici, nel vicinato, nel parentado tutti sapevano tutto di tutti. Ma tutti tacciono finché, a un certo punto, per un motivo che spesso ci è ignoto, questo equilibrio si spezza e qualcuno lancia l’accusa.

Per questo motivo credo che non solo l’omosessualità, ma anche la sua subcultura fossero pratiche universali, e cioè non limitate ai soli contesti urbani nei quali Dall’Orto le colloca. Perché subire lo stereotipo negativo della città come centro di depravazione e non pensare che anche nelle campagne, dove per altro viveva circa l’85% della popolazione nell’età preindustriale, l’omosessualità fosse altrettanto presente e diffusa, ma veniva a galla molto più raramente per problemi di mantenimento della coesione interna ai villaggi e alle piccole comunità? Generalizzerei insomma il caso Faan.

Chiudo il mio lungo sproloquio con altre due domande a Dall’Orto, da aggiungere alle ultime questioni che ho provato a sollevare. La prima riguarda ancora la natura delle fonti. Anche se Dall’Orto si avvale di una documentazione che non si potrebbe immaginare più ampia, la parte più consistente è offerta dalle fonti criminali, sicuramente quelle che ci intrigano di più, perché lì veniamo a contatto con le voci del passato, con le vere esistenze di omosessuali in carne e ossa che raccontano di sé, dei propri sentimenti, delle proprie emozioni, delle proprie sensazioni. Ma lì chi rimane impigliato? Nella maggior parte dei casi si tratta di poveracci, di prostituti, di ingenui, di gente che viene denunciata, processata, condannata per il rango e perché, allora come oggi, non può permettersi di sfuggire alla giustizia, non può corrompere, non può permettersi un bravo avvocato, o forse solo perché gli mancano le conoscenze e le relazioni per destreggiarsi e svicolare. Insomma, il censo conta e determina la natura della fonte, selezionando certi attori sociali ed escludendone altri. Bisogna tenere conto di questa parzialità dello sguardo. E infine, a me sarebbe molto piaciuto un uso estensivo di una fonte straordinaria, che qui appare troppo poco, ma che forse meriterebbe un libro a sé: l’arte, intesa non come letteratura, ma proprio come insieme delle arti plastiche, scultura e pittura.

Concludo con un caloroso invito alla lettura di questo libro, non solo perché è un libro bello e intelligente, ma perché è un libro ottimista, che rifugge dalla storia lacrimosa nella quale spesso indulgono le storie delle minoranze, e delle minoranze perseguitate in particolare come quella omosessuale.

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