La bella sconosciuta

20 giugno 2020

Quando leggo un romanzo di Gianni Farinetti ne resto sempre contento: sono libri privi di enormi pretese letterarie, ma pieni di esprit, agili e folti di trovate simpatiche. Questo, lo debbo riconoscere, non è il migliore: anzi, l'uso del montaggio cinematografico - che poi è cinematografico sino a un certo punto, perché a modo suo se ne serviva da maestro già l'Ariosto, e in qualche modo anche Omero - nella parte iniziale spezzetta e rimescola un po' troppo la narrazione; ma dopotutto si può guardare a quest'espediente, cui l'autore qui ricorre con naturalezza un po' inferiore che altrove, come a un'ammenda onorevole da pagare per godere poi non della vicenda "gialla" in sé, bensì della galleria di ritratti e caricature che Farinetti crea o riprende per la gioia dei suoi lettori affezionati. Come sempre, ad esempio, ci sono le pettegole di paese, due vereconde vecchiette (sorelle) con volpino al seguito; e c'è la vegliarda piemontese linguacciuta e prepotente, qui a dir il vero ligure (benché solo per matrimonio), e accompagnata da un cavalier servente di novant'anni, magrissimo, elegantissimo, evocatore d'antiche frequentazioni con Altezze Reali, e un po' svanito: ed anche un po'... ma no, meglio non rivelare niente: chi leggerà, saprà. Sebastiano Guarienti, presente in ogni romanzo di Farinetti, anche se in certuni soltanto come presenza lontana ed evocata, in questo caso è il protagonista: presenza gaya simpatica e senza forzature, lontanissima dalle froce indignate, ingrugnate o dolenti e in perpetue gramaglie, che piacciono moltissimo ai nostri narratori d'area, i quali si credono Proust senz'averne non diciamo un po' della statura letteraria, che già sarebbe temerario pretendere, ma neppure una briciola di uso del mondo, ciò ch'è decisamente più imperdonabile. Sotto la leggerezza, Farinetti ad ogni modo sa introdurre con discrezione anche il dramma e, meglio ancora, qualche tocco delicato di psicologia senile frutto senza dubbio di finezza d'animo e capacità di osservazione. A chi si lagni - cosa molto molto probabile, data la sovrabbondanza di lettori incontentabili - che certe caricature farinettiane siano ricorrenti, mi tocca ribattere, da lettore poco sofisticato qual sono, che il mondo è stracolmo di caricature, e ricorrenti sono anche certi nostri congiunti strambi e squinternati, che da cinquant'anni sentiamo ripetere sempre lo stesso aneddoto (quasi di sicuro) fittizio, la stessa facezia polverosa, le stesse osservazioni sul tempo, il mondo e i parenti; eppure mica smettiamo di vederli o di parlarci: anzi, se non ci raccontano di quella volta che la zia fece così o il nonno disse cosà, ci restiamo un po' male. Una delle cose più belle sono le certezze rituali: perché ce ne dovremmo privare, massime se ci sono porte col garbo un po' svagato, divertito e sorridente con cui ce le presenta Farinetti?
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