recensione diGabriele Strazio
Cunnilingusville
Nonostante il cognome illustre, Augusten Burroughs non rivendica alcuna discendenza da uno dei padri della beat generation.
Si è fatto conoscere principalmente grazie alla sua seconda apparizione editoriale Correndo con le forbici in mano (edizione italiana pubblicata da Alet), best-seller internazionale da cui è stato recentemente tratto un film con Annette Bening.
Il libro racconta con vena ironica e vendicativa l'infanzia e adolescenza borderline di Augusten, cresciuto da una madre egocentrica e schizzata e da un padre oltremodo succube e alcolizzato.
Dopo il divorzio dei genitori viene rimbalzato nella casa dello psicanalista di mamma, in una realtà governata da caos, noncuranza e non pochi traumi nel calendario.
Senza educazione e istruzione adeguata: più che il classico romanzo di formazione, qui si affronta una deformazione da romanzo, ma è tutta realtà.
Nonostante tutto questo e qualche incertezza nell'avvio di carriera, Burroughs si realizza professionalmente diventando un pubblicitario di successo prima, e uno scrittore affermato poi. Sì, be', se si tralascia un passato di alcol e stupefacenti...
Fatto sta che oggi possiamo leggere questa raccolta di racconti, di cui uno dà appunto il titolo al volume. Troviamo un Burroughs sempre caustico e tagliente nella sua satira, ma in qualche modo addolcito dall'aver finalmente trovato l'amore in Dennis, a cui soprattutto la seconda metà del libro è praticamente dedicata in un perpetuo elogio devozionale.
La prima metà, invece, vede l'autore alle prese ancora con qualche reminiscenza famigliare e adolescenziale, per poi passare in rassegna una serie di fallimentari ed esilaranti appuntamenti al buio, rapporti sessuali improbabili per protagonisti e luoghi, qualche vacanza, il tentato omicidio di un opossum e quello riuscito di un topo metropolitano sbucato dalle tubature.
Ma per fortuna arriva Dennis: senza perdere un filo del sarcasmo accattivante che lo caratterizza, Burroughs riscopre una vita solare e dinamica, una vita anche e soprattutto di coppia, io e te e il nostro bulldog francese.
La cifra del cinismo e dell'ironia quasi perversa dei suoi scritti, lo avvicina in qualche modo ad un altro grande autore americano contemporaneo di satira, anche lui omosessuale, David Sedaris.
In comune hanno anche l'aver fatto successo soprattutto sulle loro disgrazie: sviscerate, metabolizzate, riscritte, irrise e consegnate al pubblico.
Sedaris però appare consapevole di tutto il suo vissuto, al punto di dimostrare puntualmente di vivere una vita nuova in tutti i suoi aspetti, tirandosi fuori a unghie e denti dalla banalità e dall'ottusità aggressiva di un'America di provincia e sempre più autoreferenziale nei suoi valori.
Burroughs, invece, ha certamente piena coscienza di tutto quanto gli sta intorno, ma riesce a conviverci proprio in virtù del fatto di essere lui stesso "made in Usa". Osserva, si stupisce, si scandalizza, poi ride e si siede.
E scrive.