recensione diDaniele Cenci
Il contagio
Un condominio claustrofobico perso nella periferia, babelico falansterio abitato da un'umanità allo sbando, scalcinato Panopticon dove ci si s'aggira assediati da un gaddiano "senso d'uggia e di canarinizzata contrizione".
Qui ritroviamo Marcello, l'allegro mantenuto borgataro-bisteccone-bisex ("tutto il mondo" per il Professore), ormai spento e rintronato dall'età e dalle disillusioni.
Lui e i suoi vicini, indifferenti "cronici e ironici" a tutto, pippano, spacciano, rapinano, si vendono, fantasmi solarizzati nei limbi della Storia: brutti sporchi e cattivi, divorati da evanescenti sogni e bisogni, impantanati nelle discariche del Capitale.
Consapevole che "il segreto di una civiltà al tracollo è la consistenza fluida: una geografia collosa, una storia evaporante, un'identità fondente e una criminalità liquida", Siti inscena mimeticamente un altro dei suoi misteri buffi, officiato da icone inquietanti.
La furia plurilinguistica dell'autore-illusionista sbrana i 'nuovi mostri', e implacabilmente smonta gli ingranaggi di questa sanguigna "ballata popolare". S'attaglia alla sua magmatica scrittura l'aforisma di Canetti (da "La tortura delle mosche"): "Per il narratore chiarezza e concisione rappresentano un ostacolo, in quanto egli vive degli scarti della metamorfosi, che sono incalcolabili, e di un respiro, che è inesauribile."