recensione di Mauro Giori
Le amicizie particolari
Dieci anni dopo, quando Le amicizie particolari viene presentato alla Mostra di Venezia, la Nouvelle Vague in senso stretto va ormai esaurendosi, ma le posizioni dei «Cahiers» non sono mutate di una virgola: ci vorrà ancora qualche anno perché si spostino (energicamente) a sinistra. Nel '64 sono ancora una rivista di orientamento filocattolico, e non stupisce di leggervi una recensione in cui Jean-Louis Comolli liquida Le amicizie particolari come un «cattivo film», per giunta «ipocrita» e «astuto» nel provocare «le buone anime, il buon pubblico e le buone coscienze». Il giudizio è lapidario: «une merde cinematographique». «Anche se ben girata», si affretta ad aggiungere il recensore, che accusa poi il regista di «aver sfigurato fino all'estrema lordura questa amicizia senza particolarità, giungendo a rendere bassi e torbidi i rapporti tutti nutriti di platonismo e d'eucaristia tra i due ragazzi».
Ma anche le riviste di diverso orientamento non sono tenere con il film di Delannoy, sia pure per i motivi contrari, e cioè per essere stato troppo «reticente» (come scrive «Sight and Sound») e accomodante. «Positif» (rivista di sinistra), tramite Michel Ciment accusa Delannoy di non osare abbastanza e di essere troppo pieno di buoni sentimenti cristiani, tanto da far apparire i preti eccessivamente comprensivi. Ciment accosta il film a Ragazze in uniforme, rispetto al quale lo trova troppo bonario. Anche «Films and Filming», che già in quegli anni manifestava un'inconsueta attenzione per tutto ciò che riguardava l'omosessualità (poi sarebbe divenuta ancora più esplicita), bastona il film di Delannoy per aver ritratto i preti con eccessiva condiscendenza e ha parole feroci nei confronti del clero (il dogmatismo della Chiesa, scrive il direttore della rivista, «è probabilmente la tortura più spaventosa che una giovane mente possa tollerare»).
Non sono critiche infondate: è vero che la sincerità del sentimento dei due ragazzi urta con la volontà del regista di non prendere posizione, che porta a un finale ambiguo e a una generale accomodante generosità nei confronti del clero (il film critica la repressione indotta dal cattolicesimo, ma assolve i preti, ritratti più come vittime essi stessi della religione anziché come carnefici). Ma qualche fastidio Le amicizie particolari l'ha creato (per reticente che fosse, da noi si era guadagnato il divieto ai minori di 18 anni), e anche nella sua eleganza un po' troppo studiata riesce a trovare qualche momento di sincerità e a proporre qualche apprezzabile vibrazione melodrammatica.
Certo i paragoni non giovano a Le amicizie particolari, che sbiadisce e perde sostanza se lo si mette a fianco della Germania di Weimar, come fece Ciment, o di Genet, del Vigo di Zero in condotta, del nascente underground, o ancora di certo cinema inglese socialmente impegnato (pensiamo a Victim o a certi esiti intrepidi del free cinema). Ma è anche vero che se non prende posizione contro il clero, non ne prende nemmeno contro l'omosessualità, il che è già un pregio da non sottovalutare in anni in cui nel cinema commerciale statunitense, per non fare che un esempio, perdurava una generale omofobia.
Inoltre, tornando alla polemica da cui siamo partiti, una cosa è certa: dal punto di vista della rappresentazione dell'omosessualità, tra Delannoy e Truffaut non c'è dubbio tra chi scegliere. Truffaut ha contribuito alla Nouvelle Vague e quindi a rivoluzionare la storia del cinema, ma non ha certo alzato un dito per migliorare la rappresentazione dell'omosessualità nel cinema: infastidito da qualsiasi intimità maschile, si era premurato di espungere ogni accenno all'omosessualità da tutti i soggetti cui abbia fatto ricorso (a proposito di tradire i romanzi di partenza piegandoli alle convenienze del momento...), come nel caso di Jules e Jim o di Il ragazzo selvaggio. Qualche merito, dunque, a Delannoy va pur sempre riconosciuto.