recensione diPiera Zani
La passione secondo Renée Vivien
Una poeta catalana racconta a più voci la vita della prima donna che si è detta poeta dopo Saffo.
Poteva scrivere di Natalie Clifford Barney, e invece no. Maria Mercé Marçal ha preferito il lato d'ombra della nascita, o rinascita, del lesbismo in età moderna. E così invece della solarità dei biondi capelli di Natalie (ereditiera che ha riempito un secolo - così a lungo è vissuta - di socialità lesbica a Parigi, dove la mondanità, lesbica, la chiamava) la poeta catalana ha preferito indagare la "fosca bellezza" della vita della prima donna che ha cominciato a poetare in nome di Saffo.
Si poteva facilmente finire nel gorgo infinito del "maledettismo lesbico", ma Maria Mercé ha avuto la mano leggera e ha intessuto con amore, perizia filologica e tanta pazienza la vita sublime di Renée, che ha preferito il buio alla luce.
Come si può scrivere della vita, movimentatissima (dall'America all'Inghilterra, alla Francia, alla Grecia, alle Hawaii fino alla Turchia e al Giappone) di una donna vissuta per soli trent'anni, una donna che ha fatto dell'essere lesbica l'opera e tormento della sua vita? Una donna che ha lasciato pochi libri di poesie e un romanzo in prosa poetica, una donna le cui migliaia di lettere sono disperse, secretate, nascoste nelle case dei familiari?
Si può finire nell'agiografia, è un attimo trovare la colpevole: la mamma perfida che le vuole rubare l'eredità o l'amante per sempre infedele, Natalie, che la cerca e ancora la cerca mentre Renée, temendo la contaminazione del dolore, la sfugge, fino a ritrovarla in un incontro che sembra definitivo e sarà solo l'inizio della fine.
Maria Mercé Marçal vince la sfida. Vince anche il confronto con un delizioso capitoletto de Il puro e l'impuro in cui Colette, un po' perfidamente, ritrae Renée allo stremo delle forze, come una bimbetta pazza, sedotta dall'alcol, dal sesso, dal misticismo eclettico di fine secolo, circondata dai suoi Budda di giada, in stanze buie tappezzate di nero, dove Renée riuscirà in un'impresa quasi impossibile: lei, lesbica professa, morirà cattolica. Una delle tante conversioni che portano i figli della Riforma, fra il XIX e il XX secolo, nell'alveo di una religione da loro immaginata esotica e piena di mistero.
Renée non c'è più, ma chi l'ha incontrata ancora la ama e la ricorda. E i ricordi di chi quasi per caso l'ha sfiorata (un anziano industriale con la passione per la poesia, un bibliofilo appassionato che la conoscerà solo da morta, un'amante turca, la baronessa de Rotschild, l'amante che per quanto ha potuto l'ha salvata: Missy, la Baronessa di Morny, l'amante di Colette), tutte queste voci s'intrecciano e ricostruiscono in modo sapiente la figura di una donna leggendaria, così leggendaria che di lei possiamo solo intravedere un'ombra in fuga.
Le voci dei contemporanei si alternano alla voce di Sara, l'alter ego dell'autrice, che per anni compie lunghi pellegrinaggi a Parigi, negli archivi e nelle biblioteche alla ricerca di un anello mancante, la soluzione del segreto della vita straordinaria di Renée, la prima donna a cantare, consapevolmente, l'amore fra donne.
Forse neppure la parola "lesbica", che ci definisce, non esisterebbe altro che come locuzione geografica, se non ci fosse stato il pellegrinaggio nell'isola di Saffo, la fuga d'amore di Natalie e Renée, al loro secondo, e sempre procrastinato, incontro.
Solo la penna intensa e precisa di una poeta poteva raccontare senza mai cadere nelle trappole infinite, che simili vite estreme offrono a chi loro si avvicina, uno dei primi miti della nostra storia di lesbiche ritrovate.
Un ampio corredo fotografico testimonia la candida bellezza delle donne con gli abiti lunghi.