recensione diPatrizia Colosio
L’uovo fuori dal cavagno
Margherita Giacobino ha saputo miscelare con grande maestria tutte le qualità che le sono proprie nella storia di Gioia, che si chiamerà Dolores dopo un battesimo di sangue a causa dell'amore, matto e disperato, per la bella Stef (nuotatrice quasi olimpionica, manager del futuro, seduttrice incallita).
Abbiamo quindi uno stile narrativo accattivante, il senso dell'ironia, e la capacità di esprimere con naturalezza e lucidità il delicato passaggio da un'infanzia vissuta ai margini della "normalità" a un'adolescenza che deve fare i conti con la scoperta di sé, del proprio corpo e del proprio desiderio.
E cosa succede quando niente in tutto questo passaggio coincide con i canoni stabiliti dalla maggioranza?
E' possibile scoprirsi "belle" nello sguardo desiderante dell'altra?
E imparare a poco a poco a togliersi di dosso gli strati di corazza che si frappongono a una vita vissuta pienamente e alla luce del sole?
O riuscire a essere felici nonostante l'ingombro della famiglia?
Per le giovani protagoniste sembra proprio di sì, seppure attraverso percorsi tortuosi, complice la presenza d'un gruppo lesbico nel quale lo scarto generazionale non impedisce l'elaborazione collettiva dell'esperienza al di fuori della logica del: "sono l'unica lesbica al mondo!".
Con tutto ciò che ne consegue... compresa la perdita dell'esclusiva quando la partner preferisce evadere dagli angusti orizzonti monogamici.
Può così capitare che quelle uova finite fuori dal cavagno (paniere) trovino "chiocce" adottive capaci di trasmettere loro i migliori anticorpi. Allora, un po' come nella favola del brutto anatroccolo, il coraggio e la forza d'animo saranno premiate con una metamorfosi foriera di nuove, insperate, possibilità.
Con questa sua ultima opera, dissacrante e tenera insieme, Margherita Giacobino ci regala un godibilissimo romanzo di formazione che arricchisce il panorama italiano, tanto avaro nei confronti dell'immaginario lesbico.
Non possiamo che essergliene grate.