recensione diFabio Bazzoli
Tredici centesimi
Libro difficile da mandare giù, in certe parti, per la violenza, la disperazione. E' la storia di Azure, un ragazzo di strada tredicenne a cui nessuno riesce a perdonare i magnifici occhi azzurri che ha, e da cui deriva il suo nome. Vive di espedienti e prostituzione maschile.
In apertura del libro lo vediamo occuparsi con trattenuta tenerezza di un bambino ancora più piccolo di lui, che si procura da vivere nello stesso modo, ma non è deciso e concentrato come Azure, il quale infatti domanda a se stesso, con oggettiva brutalità, se è proprio il caso di perdere tempo con il piccolo, che di sicuro verrà sopraffatto. Come ho già detto, un libro molto duro.
Mi ha colpito la presenza ossessiva, e resa in modo molto incisivo, del razzismo interiorizzato nella Johannesburg degli ultimi anni o addirittura dopo la fine dell'apartheid, non si capisce esattamente, perché nella realtà non è affatto finito. In un passaggio decisivo del libro, Azure viene pestato a sangue, improvvisamente, con una violenza sproporzionata. Il motivo ufficiale del pestaggio è che Azure avrebbe per sbaglio chiamato con il nome di un tirapiedi nero il suo capo, Gerald, a sua volta mulatto ma quasi del tutto bianco. In realtà, Gerald si è sentito mortalmente offeso dalla confusione e fa violentare fino quasi alla morte Azure perché questi, probabilmente, è suo figlio, e la sua pelle scura rivela indirettamente a tutti il sangue "impuro" del padre. Tutto questo non viene detto, anzi solo accennato a mezza bocca dai dialoghi. Infatti non sono nemmeno del tutto certo che le cose stiano in questi termini.
Ne esce comunque chiarissimo un quadro della devastazione morale creata dalla segregazione razziale, dall'interiorizzazione dell'odio razziale che mette l'uno contro l'altro, selvaggiamente, le diverse gradazioni di pelle scura, come fra noi l'omofobia interiorizzata divide sottilmente a seconda del grado di effeminatezza.
Non c'è solo cupa violenza nel libro. Ci sono i sogni di Azure, perché il libro ha anche una vena fantastica. Azure è un Pim della periferia degradata, con i suoi favolosi nidi di ragno, che tuttavia la sua esperienza di quotidiano orrore piega costantemente verso l'incubo. Non c'è nessuna speranza per Azure, anche se nelle situazioni più atroci continua a ripetere a se stesso "sto diventando sempre pi forte, sono fortissimo", o meglio: la speranza c'è ma come assottigliata al suo minimo spessore prima di scomparire.
Come nella descrizione dei campi di concentramento lasciata da Antelme, qui si mostra - commenta Blanchot - qualcosa come "l'indistruttibile che può essere infinitamente distrutto". La vita umana.