Cellini, Benvenuto (1500-1571)

3 gennaio 2003, Babilonia n. 85, gennaio 1991

Nato a Firenze, Cellini fu "messo a bottega" come orafo, ed esercitando questa attività si trasferì nel 1523 a Roma.

Pur facendo alcuni viaggi in altre città italiane, a Roma rimase fino al 1540, diventando fra l'altro (nel 1529) maestro della zecca pontificia ed eseguendo numerosi oggetti d'oreficeria per cardinali e papi, oltre a monete e medaglie.

Di carattere violento ed arrogante, ebbe per tutta la vita problemi con la giustizia (si macchiò pure di tre omicidii), ed anche nel momento in cui il re di Francia Francesco I lo chiamò presso di sé era incarcerato in Castel sant'Angelo.

In Francia, a Fontainebleau, eseguì non solo oggetti d'oreficeria ma anche sculture (in gran parte perdute) che, assai ammirate, contribuirono a consolidare il gusto "manierista" in Francia.
Anche in Francia si trovò protagonista di liti e risse (e di un processo per sodomia eterosessuale da cui però uscì assolto); tornò quindi a Firenze nel 1545, dove il duca Cosimo I gli commissionò quello ch'è unanimemente considerato il suo capolavoro, il bronzo del Perseo di Piazza della Signoria a Firenze.

L'attività di Cellini si volse da questo momento prevalentemente alla scultura, producendo nel 1545-1550 anche quello che è il più cospicuo corpus di statue a tematica omosessuale mai creato da uno scultore italiano del Rinascimento: i marmi di Ganimede e l'aquila, Apollo e Giacinto e Narciso del Museo del Bargello a Firenze, oltre ad un bronzo di Ganimede e l'aquila (anch'esso al Bargello) la cui attribuzione è però disputata fra lui ed il Tribolo.

Nel 1557 arrivò improvvisa la catastrofe: Benvenuto fu condannato per sodomia a quattro anni di carcere, che il granduca commutò in quattro anni di arresti domiciliari, durante i quali Cellini scolpì il Crocifisso ora all'Escorial di Madrid e iniziò la stesura della celebre autobiografia, la Vita, a cui lavorò fino al 1565 e che contiene gli avvenimenti della sua vita sino al 1562 (con l'omissione delle sue tre denunce per sodomia... ma non dei suoi omicidi!). [Per un'antologia dei brani utili a capire l'omosesusalità del Cellini, fare clic qui].

Una volta scontata la pena Cellini si rassegnò a rientrare infine nei ranghi e nel 1562 sposò (perseverando anche in campo eterosessuale nella sua confusione tra "personale di servizio" e "partner") la sua domestica Piera Parigi, da cui avrebbe avuto, a dar retta a una sua dichiarazione fiscale del 1570 in cui il prolifico vecchietto lamenta di averli "a carico", addirittura cinque figli.

Tuttavia, prima di questo "ritorno all'ovile", ricordato con piacere da tutti i critici omofobi, esiste un episodio poco noto ma estremamente rivelatore: la "strana" (per chi non vuol capire) adozione, nel 1560 (cioè in un momento in cui le finanze del Cellini non erano più in buono stato) di Antonio di Domenico Sputasenni, uno scapestrato "ragazzo di vita" che finì pure in prigione.
Prevedibilmente Cellini, che evidentemente nel frattempo s'era stufato del suo, chiamiamolo così, "figlio", smise di pagare gli alimen... il mantenimento. Antonio allora gli fece causa.
Solo nel 1570 Benvenuto sarebbe riuscito a far annullare (per indegnità) l'adozione, divorziando infine dal "figlio".

In quello stesso 1570 Cellini morì, e fu sepolto nella cappella di san Luca nella chiesa della Santissima Annunziata di Firenze.


La dimensione omosessuale del Cellini è fra le meglio documentate della storia rinascimentale, sia a causa delle condanne che egli subì (ricostruite fin dal 1930 da un fondamentale studio di Luigi Greci) [1], sia per gli accenni che egli fa nella Vita.[2] ad accuse rivoltegli (presentandole ovviamente sempre come calunnie) e che riuscì ad evitare, talora con la fuga.

Tre sono le accuse ufficiali di sodomia che gli furono rivolte.

  • La prima volta, il 14 gennaio 1523, Benvenuto fu condannato a pagare (assieme a un suo complice, Giovanni Rigogli, citato come "amicissimo" e "carissimo amico" nella sua autobiografica Vita, I XXIX e XL) dodici staia di farina come multa per un atto di sodomia con un ragazzo di nome Domenico di ser Giuliano da Ripa.

  • Il ventitreenne artista se la cava con poco: la legge infatti prevedeva una multa fino a trenta fiorini d'oro: una cifra molto più consistente. Probabilmente la sua giovane età (inferiore ai 25 anni della "piena maturità") venne tenuta presente come "attenuante generica" [3].
  • Una nuova denuncia arrivò nel 1548 da parte di una certa Margherita per suo figlio Vincenzo, ma non si arrivò al processo e per questa volta lo scultore la scampò.
    La volta successiva però, nel 1556, i guai con la giustizia sono seri. Cellini litiga col suo garzone Fernando [o Ferrando] di Montepulciano, lo licenzia in tronco, e Fernando per ritorsione lo denuncia per sodomia. Si arriva al processo e si appura che Cellini:
"Cinque anni or sono ha tenuto per suo ragazzo Fernando di Giovanni di Montepulciano, giovanetto con el quale ha usato carnalmente moltissime volte col nefando vitio della soddomia, tenendolo in letto come sua moglie" [4].

Perciò il 26 febbraio 1557 Benvenuto è condannato a pagare cinquanta scudi d'oro (una bella cifra), è "confinato a stare quattro anni in le Stinche", cioè nelle famigerate carceri di Firenze, ed è infine escluso "in perpetuo" dai pubblici uffici.

I protettori del Cellini, i Medici, lo lasciano marcire in galera per due mesi, forse per dare una lezione (si era all'inizio del "giro di vite" dei duchi di Firenze contro la sodomia, che portò a leggi sempre più severe); poi intervengono e gli ottengono gli arresti domiciliari, in modo che mentre attende il processo e sconta la pena continui a lavorare per loro...
In carcere Cellini capisce che il clima politico è cambiato e che la sodomia è diventato un reato serio. Pensa prima di farsi frate, poi si limita a decidere di sposarsi...

Dal carcere (nel giugno-agosto 1556) il Nostro si sfoga e lancia fulmini e maledizioni ai quattro venti. Anche contro la Fortuna che l'ha portato lì:

"Porca fortuna, se tu scoprivi prima
che ancora a me piacesse il Ganimede!
Son puttaniere ormai, com'ogni uom vede,
né avesti di me la spoglia opima
(...)
Venga il canchero a te, tue ruote e stella!"[5].

Il giorno che viene liberato scrive un altro sonetto in cui si presenta come un bravo bambino e nega di aver mai rubato la marmellata:

"Stentato ho qui due mesi, disperato:
chi dice ch'io ci son per Ganimede;
altri che troppo audace io ho parlato" [6].

mentre invece, stragiura,

"di amare altro che donne mai si vede
sotto Perseo: del bel giovane alato
ne ho l'onorato premio ch'ognun vede" [7].

(il Perseo a cui allude è ovviamente la già citata statua in Piazza Signoria a Firenze, per la quale si sente mal ripagato).

 

Da bravo delinquente incallito Cellini nega tutto, suggerisce d'essere finito in carcere per "reato d'opinione" e assicura di amare "solo le donne".

Le donne? Boh. Forse avrà inteso parlare di quella che in Francia verso il 1543 lo denunciò, secondo quanto egli stesso racconta nellaVita (libro II, capp. 29-30) per sodomia.
Benvenuto fu assolto, "naturalmente". Immagino in effetti che ai giudici sarà scappato da ridere all'idea di Cellini a letto con una donna...


L'omosessualità traspare comunque a più riprese anche nella sua Vita. Basta saperla leggere.
Si veda per esempio nel libro I, (cap. 32) il modo in cui Benvenuto, a Roma, parla del giovane Luigi Pulci: bello, virtuoso e intelligentissimo... a suo dire.
Luigi viene accolto a casa di Benvenuto, ma solo per carità, s'intende:

"questo ditto giovane aveva maravigliosissimo ingegno poetico e cognizione di buone lettere latine; iscriveva bene; era di grazia e di forma oltramodo bello. Erasi partito da non so che vescovo ed era tutto pieno di mal franzese [sifilide].

E perché, quando questo giovane era in Firenze, la notte di state [d'estate] in alcuni luoghi della città si faceva radotti innelle proprie strade [raduni nelle strade], dove questo giovane in fra i migliori si trovava a cantare allo inproviso; era tanto bello udire il suo, che il divino Michelagnolo Buonarroti, eccellentissimo scultore e pittore, sempre che sapeva dov'egli era, con grandissimo desiderio e piacere lo andava a udire; e un certo, chiamato il Piloto, valentissimo uomo, orefice, e io gli facevomo campagnia.

In questo modo accadde la cognizione [conoscenza] infra Luigi Pulci e me; dove, passato di molti anni, in quel modo mal condotto [ridotto male] mi si scoperse a Roma, pregandomi che io lo dovessi per l'amor de Dio aiutare.

Mossomi a compassione per le gran virtù sua, per amor della patria, e per essere il proprio della natura mia, lo presi in casa e lo feci medicare in modo, che per essere a quel modo giovane, presto si ridusse [ritornò] alla sanità". [Vita, I 32].

Come si vede il giovane "virtuoso" era apprezzato per le sue "virtù" anche da personaggi eterosessualissimi come il Cellini stesso, Michelangelo e un vescovo non meglio nominato che, per aggiungere virtù a virtù, a quanto lascia intendere Cellini, lo aveva contagiato di sifilide. Inconvenienti dell'eterosessualità...

Tanta virtù attirò l'attenzione di Girolamo Balbi, e successivamente di Giovanni Balbo, suo nipote, che evidentemente condivideva il "vizietto" dello zio:

"Cominciò questo giovane a praticare [frequentare] la Corte di Roma, nella quale prestò trovò ricapito, e acconciossi [sistemò con, mise a servizio di] con un vescovo, uomo di ottanta anni, ed era chiamato il vescovo Gurgensis [Girolamo Balbi].
Questo vescovo aveva un nipote, che si domandava [chiamava] misser Giovanni: era gentiluomo veniziano.

Questo ditto misser Giovanni dimostrava grandemente d'essere innamorato delle virtù di questo Luigi Pulci, e sotto nome di queste sue virtù se l'aveva fatto tanto domestico [intimo amico], come se fussi lui stesso". [Vita, I 32].

Tramite Giovanni, Luigi conosce una prostituta che s'incapriccia di lui. Cellini, gelosissimo della sua preda, lo affronta e lo avvisa: sta' lontano da quella donna. E via grandi giuramenti di Luigi di star lontano dalle donne, che rovinano i maschi "virtuosi"...
Infine, colpo di scena:

"Il detto misser Giovanni si scoprì seco [rivelò di nutrire] d'amore sporco e non virtuoso; perché si vedeva ogni giorno mutare veste di velluto e di seta al ditto giovane, e si cognosceva [capiva] ch'e' s'era dato in tutto alla scelleratezza e aveva dato bando alle sue belle mirabili virtù, e faceva vista di non mi vedere e di non mi cognoscere, perché io lo avevo ripreso [rimproverato], dicendogli che s'era dato in preda a brutti vizii i quali gli arien [avrebbero] fatto rompere il collo". [Vita, I 33].

Insomma: finché vive con Cellini il giovane Luigi trabocca di virtù, quando va a farsi mantenere dal rivale Giovanni, diventa una lurida marchetta!
Definire "spudorato" il Cellini è poco.



Che tale fosse lo sapeva anche quella tal Gambetta, prostituta il cui figlio lavorava col Cellini, che un bel giorno affronta lo scultore e gli propone il silenzio in cambio di denaro: Gambetta dice di sapere che Cellini va a letto col figlio, perciò è necessario che egli lo nasconda a casa sua, perché le autorità lo stanno ricercando (traduzione: il sesso non è gratis, cocco: se vuoi andare a letto con mio figlio, allora mantienitelo a vitto e alloggio).
In alternativa, Gambetta chiede la sciocchezza di cento scudi per corrompere le autorità, perché chiudano un occhio.
Quando il ragazzino, affrontato da Cellini, nega vergognoso il misfatto, la madre, donna assai di mondo, anzi mondana tout-court, lo rimprovera: "Ahi ribaldello, forse che io non so come si fa?".
Lo sapeva, lo sapeva "come si fa"... ma Cellini risolve salomonicamente il dubbio sbattendo tutti fuori di casa insultando, gridando e minacciando con un pugnale.
Ma la sua innocenza è talmente specchiata che il giorno dopo fugge precipitosamente da Firenze. Della serie: "la mia coscienza pulita è usbergo ad ogni accusa"...

Sempre nella Vita Cellini racconta della lite, davanti al granduca di Toscana, con lo scultore rivale Baccio Bandinelli(1488-1560). Il quale a un certo punto sbottò: "Oh sta' cheto, soddomitaccio!".
Sorprendentemente Benvenuto rispose esibendosi in un'apologia dell'amore omosessuale:

"O pazzo, tu esci dei termini: Iddio volesse che io sapessi fare una così nobile arte [cioè la sodomia, NdR], perché si legge che l'usò Giove con Ganimede in paradiso, e qui in terra la usano i maggiori imperatori ed i più gran re del mondo.
Io sono un basso e umile omiciattolo, il quale né potrei né saprei impacciarmi di sì mirabil cosa" [Vita, II 33].

In questo modo riuscì a fare scoppiare a ridere tutti i presenti, sviando con la prontezza di spirito l'attenzione dal fatto che in realtà egli era davvero un soddomitaccio...


Per concludere.
L'apologia dell'amore omosessuale di fronte al Granduca soprende in quanto proveniente non da uno degli artisti maggiormente "inseriti" (e quindi potenti), o da un audace intellettuale "di punta", bensì da una figura che non è esagerato definire di delinquente, quale fu il Cellini.

Eppure è così: fu l'outsider Cellini, e non qualcuno di più "garantito", a voler scolpire per proprio diletto i già citati Apollo e Giacinto (in cui è palese il legame erotico che unisce il dio e il giovane, ca. 1547-48) e Narciso (tour-de-force esibizionistico sull'attrattiva sessuale dell'adolescente nudo, bello fino alla leziosità, ca. 1548) senza averne ricevuto la commissione da nessuno, al punto da non venderle per tutto il resto della vita e da lasciarle in eredità al granduca alla propria morte.

La vicenda del Cellini mostra insomma come nella società antica una "scelta di vita" coscientemente "omosessuale" non fosse inconcepibile o comunque impossibile da teorizzare con gli strumenti culturali esistenti; essa era però comunque impraticabile se non come scelta che poneva non solo ai margini della società, ma addirittura al di là del confine con la scelta criminale vera e propria.

Una posizione, questa, talmente pericolosa che alla fine persino un outsider di vocazione come Cellini, che della legge non ebbe mai rispetto, finì per trovarla intollerabile, rientrando nei ranghi.

Anche il più "trasgressivo" e criminale dei sodomiti del Rinascimento fu, alla fine, costretto a piegarsi alla regola sociale e a sposarsi.

Il carcere era servito al suo scopo.

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