Simposio - L'amore vero è quello per i ragazzi?

8 maggio 2004

Dialogo filosofico [noto anche come Il convito e Il banchetto] che "dimostra" che quella fra uomini - purché casta - è la forma d'amore più alta... Non è eccessivo definirlo come uno dei "cardini" tradizionali dalla letteratura di tema omosessuale.

(Per lo schema di questo dialogo fare clic qui).

Ambientato nel corso d'un banchetto in casa del poeta Agatone nel 416 a.C., questo dialogo vede Socrate e i suoi commensali discutere d'Amore.

L'amore qui presentato è quello omosessuale, molto idealizzato e spiritualizzato, fra un giovane (eròmenos, "amato") e un adulto (erastés, "amante", ).

Dopo un'introduzione "teologica" da parte di Fedro e Pausania, il commensale Erissimaco afferma che esistono due amori, quello "volgare" (amore fisico, soprattutto eterosessuale protetto da Afrodìte Pandémia) e quello "celeste" (amore spirituale, omosessuale, protetto da Afrodìte Urània). Il secondo può e deve avere una connotazione educativa: attraverso esso l'amante cerca di migliorare l'amato, spingendolo... alla virtù.

Il commensale Aristofane (il commediografo) racconta allora un mito burlesco, il celebre "mito dell'andrògino".
Un tempo gli uomini erano divisi in tre sessi: uno maschile/femminile, uno tutto-maschile ed uno tutto-femminile.
Per difendersi da un loro assalto, Giove spaccò in due gli esseri umani: da ciò ha origine l'amore, che è il desiderio delle due metà di riunirsi nuovamente. Ovviamente coloro che derivano da un essere "tutto-maschile" o da uno "tutto-femminile" proveranno attrazione per persone del loro sesso.

Dopo Aristofane parla Agatone, a cui fa seguito Socrate, che tira qui le fila con un'analisi filosofica della natura dell'amore (un intermediario fra gli uomini e gli dèi): il suo scopo è procreare nel bello, sia corporalmente, sia spiritualmente. Il raggiungimento del Bello è insomma il fine ultimo dell'amore.

Socrate viene interrotto dall'irruzione di Alcibiade, ubriaco fradicio, che racconta come invano avesse cercato in passato di portarsi a letto Socrate, che pure è innamorato di lui, ma che grazie alla propria temperanza ha saputo resistere ad ogni tentazione.

L'opera si conclude bruscamente a mo' di commedia con un'irruzione di amici ubriachi e la fine improvvisa della discussione.

Questo è, in tre righe, il Simposio.

Va ancora aggiunto che il suo utilizzo per secoli a fini apologetici, da parte di varie generazioni di persone omosessuali, quasi fosse un manuale d'istruzioni per bene amare i ragazzi, ne ha fatto perdere di vista l'aspetto satirico, se non sarcastico. La figura di Alcibiade che irrompe ubriaco è un tale esempio d'intemperanza da sfiorare, agli occhi di un greco colto, la calunnia.
Così pure per capire la figura del (democratico) Aristofane non si può scordare che egli fu ostile alla cerchia (anti-democratica ed aristocratica) di Socrate.

Il Simposio non è insomma la descrizione del modo in cui i Greci amavano i ragazzi: al contrario è la cosciente proposta di una spiritualizzazione "controcorrente" della pratica omosessuale, la cui usuale fisicità e "grossolanità" è messa in burla nel comportamento "ridicolo" e "disdicevole" di Alcibiade.

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