Mario Venuti ha sorpreso positivamente la stampa italiana partecipando all’ultimo festival di Sanremo con il brano dai contorni sado-maso “Crudele”, terzo singolo tratto dall’album Grandimprese, uscito lo scorso anno.
Mario, che è nato a Siracusa nel 1963, ha dato vita nei primi anni ’80 al gruppo dei Denovo assieme a Toni Carbone e ai fratelli Luca e Gabriele Madonia. Insieme ai Denovo Mario ha inciso cinque album che hanno lasciato il segno nella storia della musica contemporanea italiana. L’ultimo album del gruppo, il cui titolo è giocato sui cognomi dei componenti, Venuti dalle Madonie a cercar Carbone, risale al 1989 ed è stato prodotto da Franco Battiato. Gli inizi degli anni ’90 vedono Mario impegnato in viaggi in Brasile dove si appassiona alla musica di Cateano Veloso e in generale alla bossanova e al sound tropicale. L’esperienza brasiliana si respira a pieni polmoni nel suo primo album Un po’ di febbre (1994), in cui è contenuto il singolo “Fortuna”, portato in vetta alle classifiche. In Italia Mario partecipa attivamente alla scena musicale e sociale catanese. Qui, grazie al suo manager Francesco Virlinzi della Cyclope Records, conosce un’altra artista del luogo, Carmen Consoli, con cui Mario collaborerà come co-autore del brano “Amore di plastica”, presentato dalla cantante a Sanremo Giovani nel 1996. Nello stesso anno Mario pubblica Microclima, album in cui sono miscelati mediterraneo, tropicalismo e pop inglese. Nel 1997 partecipa a Sanremo Giovani con “Il più bravo del reame”, come preannuncio del nuovo album Mai come ieri del 1998. La title track, cantata in coppia con Carmen Consoli, lo porta di nuovo in vetta alle classifiche. Il successo ottenuto consentirà al cantante di effettuare una lunga tournèe per le piazze e i teatri d’Italia durante tutto l’anno successivo. Nel 2000, durante le registrazioni del nuovo album, muore Francesco Virlinzi della Cyclope Records. Mario riesce ad acquistare i diritti sul disco l’anno successivo e a riprendere le registrazioni. Lo scorso anno esce Grandimprese, anticipato dal singolo “Veramente”, divenuto uno dei tormentoni estivi del bel paese. A Gennaio di quest’anno Mario viene invitato al festival di Sanremo, per l’occasione decide di ristampare l’ultimo album con l’aggiunta di quattro brani, tra cui il sanremese “Crudele” e il duetto con la cantante Patrizia Laquidara “Per causa d’amore”.
In occasione di una breve trasferta milanese, a cavallo tra il tour invernale appena concluso e quello estivo alle porte, abbiamo incontrato il cantante siciliano cui abbiamo chiesto di raccontarci un po’ di sé attraverso le sue canzoni.
La tua esperienza più recente è il festival di Sanremo. La maggior parte della stampa italiana ha premiato la tua canzone, comunque “Crudele” ti è valso il premio “Mia Martini” per la critica. Secondo te “Crudele” contiene un messaggio ancora troppo “forte”?
Non credo sia solamente questa la ragione, solitamente le giurie popolari a Sanremo premiamo le canzoni più tradizionali o il cantante che prende gli acuti, perché in Italia ci trasciniamo dal melodramma questo gusto per le voci spiegate mentre io in questo pezzo canto in maniera sommessa. Però, anche se è a suo modo è una canzone d’amore, per la media del pubblico italiano è un messaggio sicuramente forte.
Nel 1996 partecipasti come co-autore al festival di Sanremo con il brano presentato da Carmen Consoli, “Amore di plastica”. Con Carmen c’è stata una collaborazione molto intensa; in questo album, Grandimprese, ci presenti Patrizia Laquidara con cui canti “Per causa d’amore”, è l’inizio dei un’altra collaborazione che si preannuncia duratura?
Sono delle collaborazioni nate in maniera diversa, ma nascono tutte da una stima reciproca, da una fascinazione artistica e umana; pur con le dovute differenze sono tutte e due figure femminili con un carattere forte, con una forte personalità. Il brano con Patrizia era nato per lei, poi in una seconda fase la sua casa discografica mi ha chiesto di produrlo e visto che ero in studio è stato quasi naturale che diventasse un duetto, quindi poi l’ho inserito anche sul mio disco. Ci sono delle variabili, vedremo in futuro, mi piacerebbe fare delle altre cose con Patrizia.
In un tuo brano, “Sant’Agata su Marte” ho ritrovato alcuni suoni, o meglio ciò che mi sembra una vaga ispirazione ad un altro compositore siciliano, Franco Battiato…
Non sbagli: Battiato in passato ha prodotto l’ultimo disco dei Denovo del 1989, da allora ci siamo incontrati più volte. Nel pezzo che tu hai citato mi sarebbe piaciuto fargli cantare la parte centrale in latino perché è quella che più tipicamente riconduce a Battiato. La canzone tratta dell’esaltazione religiosa che però io vedo da un’ottica non spirituale, quanto per il suo aspetto culturale e per il legame con il popolo; ho un gusto per l’attitudine che riguarda il lato più panteista, dove è presente una forte componente pagana.
Nel brano “Bisogna metterci la faccia”, secondo singolo tratto da questo tuo ultimo lavoro, parli della finzione che spesso un artista è costretto a recitare e alle false maschere che deve indossare per avere successo. Si dice sia uno dei tuoi brani più autobiografici, vero?
Ci sono dei passagi in cui il brano è abbastanza corrispondente al ruolo del musicista, scrivendolo mi sono reso conto che questo slogan, “bisogna metterci la faccia” è piuttosto universale e si può adattare a chiunque…se ben guardi ha un ruolo anche sociale perché tutti ci mettiamo delle maschere andando in giro, o soprattutto presentandosi nel proprio posto di lavoro.
Sei un musicista che non si tira indietro di fronte ad un impegno sociale, soprattutto quando si tratta di diritti civili. Hai partecipato al concerto del Gay & Lesbian Pride nazionale di Bologna, nel 1995 e a quello di Roma nel 1997.
Ritieni che l’impegno sociale possa e/o debba necessariamente passare attraverso le canzoni?
Non penso che il cantante abbia il dovere di essere per forza di cose “impegnato” socialmente, più auspicabile che si impegni invece quando si ha veramente delle esigenze di farlo in maniera sentita, ossia quando si ha proprio l’urgenza di farlo. Purtroppo viviamo in un periodo in cui spesso i cantautori ripiegano sul privato perché gli eventi sembrano molto più grandi di noi, per cui ci sentiamo così piccoli e impotenti che se ci sforzassimo il nostro grido di dolore suonerebbe a volte quasi grottesco, no? Tuttavia a volte il privato è spesso lo specchio del pubblico, dietro l’atteggiamneto del singolo o dei singoli si percepisce un sentire universale. Ci sono stati dei periodi in cui io ho avuto degli slanci di questo tipo, ho vissuto la primavera siciliana in cui dopo le stragi di Falcone e Borsellino si stendevano i lenzuoli bianchi dai balconi durante le manifestazioni in segno di lotta alla mafia. Purtroppo i tempi oggi mi fanno essere molto più pessimista, viviamo un momento in cui certe forme di idealismo vengono automaticamente soffocate dalle circostanze esterne, dagli eventi politici, oggi c’è uno scenario desolante per cui si preferisce rifugiarsi nel privato.
…allora “è meglio una canzone stupida che non vuol dire niente”, come canti nel tuo album?
È un discorso diverso, ciò che intendo dire in questo caso è che non sempre i grandi ideali come dire anche le buone intenzioni, possono produrre delle buone canzoni, a volte anche delle umili pretese di intrattenere il pubblico possono dare dei buoni risultati, contribuire a creare degli effetti sull’immaginario collettivo. Per fortuna abbiamo un nostro lato ludico, ironico, che dobbiamo cercare di mantenere.
Secondo te è utile che un uomo/donna di spettacolo, facciano il proprio “coming out” pubblico o ritieni che debba rimanere un’esigenza esclusivamente privata?
Penso che il “coming out” omosessuale debba essere un’esigenza sentita da chi lo fa, quindi personale, perché magari possa migliorare i rapporti umani rendendoli più distesi, però anche questo non dev’essere un dovere, io credo che una componente di ipocrisia in generale nel campo del sesso è fisiologica, a volte è necessaria perché rende anche le cose più misteriose, più interessanti, per cui lasciamo anche la libertà del “coming out “, in Italia si è più portati a confidarsi con gli amici che non con i famigliari; questa è una tara che ci portiamo dietro e che forse viene dal cattolicesimo, comunque fa parte della nostra cultura. A volte violentarci può produrre degli effetti non dico devastanti, ma grotteschi, non spontanei, ciò che mi dà fastidio però è l’ipocrisia. Però credo che con naturalezza, giorno dopo giorno, tante barriere e tanti tabù stiano cadendo e che la cosa migliore in tutto questo sia essere abbastanza rilassati. Ci sono alcuni che preferiscono vivere la propria sessualità con dei veli più o meno spessi, concediamoglielo pure, ognuno è libero di gestire questa cosa come meglio crede, ma oltremodo ben vengano le lotte di chi invece vuole metterci la faccia in prima persona, sono perfettamente d’accordo su questo.