Così teneri, così violenti

Intervista a Dennis Cooper

30 marzo 2005, "Babilonia", n. 218, marzo 2003

Incontro con Dennis Cooper, singolare autore e "voce" dell'adolescenza confusa ed emarginata, che ci parla del suo ultimo lavoro e della sua decennale carriera.

A Roma incontriamo il creatore di un universo maschile indecifrabile, dove la crudeltà si lega alla simpatia per dei serial lovers in erba, braccati da fantasmi di morte, e l'eros si modula in un'attrazione micidiale per la bellezza degli adolescenti.

L'occasione è data dall'uscita de I miei pensieri perduti (My loose thread, 2001; tr. M. Pensante, Marco Tropea Editore, pp. 160).

Per la prima volta Cooper fa entrare in scena la famiglia, la scuola e, dulcis in fundo, un terapeuta. La storia è narrata da un liceale che confonde - in un groviglio inestricabile - realtà e fantasia.


Dennis Cooper è nato 50 anni fa a Los Angeles. Fonda la rivista Little Cesar, pubblica una trentina di volumetti di poesia, si dedica alla critica d'arte; vive per dieci anni in Olanda. Un ciclo di cinque romanzi lo consacra autore di culto: Closer (1989; Tutti gli amici di George, tr. M. Pensante, Marco Tropea Editore 2001), Frisk (1991; Frisk, tr.G. Granato, Einaudi 1997), Try (1994; Ziggy, tr. Alessandro Golinelli, Tropea 1997), Guide (1997; Idoli, tr. M. Pensante, Tropea 1998), Period (2000).



La tua tecnica letteraria, i tuoi chiodi fissi: cosa muta nel tempo? Che ne è delle tue ossessioni?

Cerco sempre di svuotarmi, di far decantare la lingua fino a illuminare i lati nascosti, la faccia oscura delle emozioni - tanto più indicibili, quanto più banalizzate nella società dei consumi. I personaggi seguitano ad essere mossi da forze opposte: affetto e aggressività, pietà e gelida indifferenza. Pensano di sopprimere l'oggetto dei loro desideri, ma finiscono per torturarsi. Il sesso resta una droga potente: rimescola senza posa le carte del racconto.

I miei ragazzini hanno perso la bussola, ma pure io sono disorientato. Credimi: la mia scrittura è confusione... organizzata.


Anche in questo romanzo emerge un humour nero, a tratti surreale...

È vero. Miscelo gli ingredienti della mia invenzione in sistemi che, proprio come meccanismi ad orologeria, operano in simultanea. L'umorismo fa parte del gioco. Una battuta calata al punto giusto allenta la tensione, distrae il lettore, veicola significati più profondi.

L'umorismo è la cifra del rapporto dell'autore coi diversi materiali: un'arma di difesa e di offesa, nella finzione come nella realtà. La drammatica confusione dei miei protagonisti è in parte provocata dalla loro cronica mancanza di humour.


Qual è il filo allentato a cui alludi nel titolo (nell'originale My loose thread)?

Jim e Larry sono come due gemelli. Il più piccolo, che - nonostante tutto - ama il fratello, ha danni esterni, costellazioni di cicatrici, eppure conserva una preziosa energia interiore, una capacità d'ascolto; l'altro - stordito dal desiderio violento che lo spinge verso Jim - è schiacciato da un danno interno (la sessuofobia) che disturba ogni possibile comunicazione e recide il filo di una pur minima autocoscienza del suo essere gay.

Larry non ha fiducia nelle parole: è convinto di dire sempre balle anche quando dice la verità.


Traspare un chiaro attaccamento alle tue creature, la compassione per il loro destino. La tenerezza con cui tratti Jim ne è una spia sintomatica...

Posso fartela io una domanda? Sei gay?


Sì.

Te l'ho chiesto perché provo per Jim quello che provi tu. Ho notato che quelli che condividono questa visione sono gay, mentre gli etero rivelano una preferenza per le persone integrate, senza problemi (la figlia dello psichiatra), assuefatti a ragionare per compartimenti stagni, a considerare le vittime come dei minus habentes.

Sì, sono attratto dai più indifesi, ma non ho nulla del predatore.

Chi mi vede in giro con dei ragazzi, pensa solo che me li scopi, ma io cerco di costruire con loro rapporti che non si basano per forza su sesso e potere. Non mi va di far saltare la freschezza di quelle relazioni.


Un misterioso diario, evocato a più riprese, sembra il vero protagonista del libro: contiene la chiave del passato e del futuro dei due fratelli...

Sì, è proprio così.

Volevo che la storia fosse plasmata in uno stile scarno, raggelato; che la bellezza non espressa dal racconto rifluisse nel diario.

Attorno a questo oggetto misterioso convergono tutti i personaggi e si calamita l'attenzione del lettore: ma dal diario giungono solo echi soffocati, frammenti di un sogno.


Lo scrittore come terapeuta del linguaggio, in antitesi alla maschera dello psichiatra, tragicomico poliziotto della mente. Il tuo bisturi scava impietosamente nella devastazione inferta dalla sessuofobia alle persone.

Fai bene a ricordare che la mia poetica è anarchica, diffida delle trappole semantiche come delle gabbie istituzionali. Lo psichiatra vuole "identificare", s'illude di penetrare individualmente il mistero dell'altro: ma è così concentrato a trovare conferma ai suoi teoremi da non avere voglia di fissare in faccia i ragazzini e decriptare il caleidoscopio delle loro esistenze.


Con la scrittura dài corpo a sogni implosi, allucinazioni da incubo, atroci delitti. Percepiamo gli assordanti suoni che il silenzio genera in una mente lacerata. Ma forse è autentico solo l'artista che non ha paura di evocare i labirinti della memoria, l'universo siderale della follia, la vertigine dell'annientamento. "Ricade sull'autore il fardello della responsabilità per i personaggi e le ossessioni che egli crea": è Genet a dirlo.

È profondo...

L'artista s'aspetta sempre che scatti qualcosa in chi lo legge . Perché, vedi, non solo la coscienza e la vita sono frutto di un montaggio, ma la stessa operazione della lettura è montaggio. Nella nostra banca-ricordi si depositano in maniera alluvionale i files di tutto quello che hai goduto, sofferto, udito, visto, annusato, toccato, gustato.

Ampie sono le prove di questo vertiginoso magazzino di dati accumulati nel sistema nervoso, però finora non è stato trovato un metodo per giungere al loro totale filtraggio o eliminazione. È necessario disattivare i meccanismi coatti di difesa, le censure.

Lo scrittore non può impedirsi di metabolizzare letture, fatti e visioni. Come fai a pretendere che castri la sua fantasia ad uso e consumo di un lettore addomesticato, lobotomizzato?


Già, gli incubi non imperversano solo nella mente dei tuoi personaggi: proliferano nella realtà dei sistemi sociali. Guardali i notiziari tv del pianeta, la loro stereotipata pietà: scaricano continuamente autentici snuff movies.

L'omologazione è il vero incubo da cui devi trovare la forza di svegliarti. T'illudi - ci ho creduto anch'io - che per espandere l'area della coscienza basti e avanzi un po' di trasgressione sessuale, qualche acido, una manciata di musica da sballo.

Ora, per me, l'azione diretta, la scrittura, la lettura sono il vero antidoto al soporifero appiattimento delle intelligenze, al livellamento di torti e ragioni.


Nell'originaria sequenza del tuo ciclo di romanzi mi intriga l'uso sapienziale dei titoli, composti da poche lettere, secondo lo schema 6-5-3-5-6: Closer, Frisk, Try, Guide, Period.

Sì, giusto! Leggeteli nell'ordine, come un'unica ossessione durata dodici anni, con continui rimandi da un romanzo all'altro: avrete la sensazione di trovarvi nella stanza degli specchi deformanti di un luna park. La scelta dei titoli non è affatto casuale: il primo romanzo (Closer) realmente si completa nell'ultimo (Period), il secondo nel quarto, il terzo è come una cerniera.


Balza agli occhi un feeling privilegiato con la cultura francese: come epigrafi ai tuoi libri scegli autori del calibro di Genet, Bresson, Rimbaud, Pinget. Hai confessato una fascinazione per Sade, letto a quindici anni, e per altri maudits degli anni '60 -'70: il nouveau roman di Duvert (Paysage de fantaisie), il pluricensurato Guyotat (Eden Eden Eden), l'esordio di Hervé Guibert (La mort propagande).

Sì, non vado pazzo per la letteratura americana, considero grande solo il primo Burroughs. La mia scrittura è calcolata, ma i contenuti sono molto istintivi. E in questo, durante la mia lunga permanenza in Europa, mi è stata d'aiuto certa cultura francese, che abbina ad una cristallina chiarezza la ricerca dell'insondabile, l'esplorazione del limite.


"C'è chi ama troppo poco, chi troppo a lungo; alcuni vendono, altri comprano; chi compie l'atto con molte lacrime, chi senza un sospiro: ma ogni uomo uccide la cosa che ama, anche se non tutti dopo muoiono". È Wilde (The ballad of Reading gaol, 1898, I-9), cantato da Jeanne Moreau nel Querelle di Fassbinder: te lo cito perché, in fondo, lungo tutta la tua opera si resta ipnotizzati dalla sottile linea rossa che separa vita e morte, eros e violenza, autocoscienza e confusione.

Queste parole di Wilde dovremmo averle tutti scolpite dentro. Un mare di violenza e di autodistruzione sembra sommergerti, il sole nero della depressione appanna la vista, prepotente si fa avanti la rinuncia ad amare.

Ho vissuto anch'io questa esperienza durante gli anni trascorsi ad Amsterdam, dove per la prima volta ho concepito il mio ciclo. L'ho vissuta ai margini, sul filo del rasoio. Della vita volevo assaporare tutto, desideravo abitare certe condizioni della mente. Ripensandoci, credo di essermi spinto quasi ad un punto di non ritorno.


Dopo la poesia e l'animazione culturale - critica musicale, fumetto, reportage - cosa ci riservi per il futuro?

La poesia è stata un modo per imparare a scrivere, ad elaborare i miei materiali. Adesso ho proprio voglia di mostrare un altro Dennis Cooper, magari in un'opera incentrata sul mondo degli adulti. Però, fammelo dire, è più facile per me parlare di baobab, di canguri o venusiani che di adulti! La mia scrittura è ormai scarnificata, ridotta all'osso.

Chissà, forse è tempo di salpare verso altri territori. Un sacco di band mi chiedono testi per le loro canzoni. È pronta la sceneggiatura per un regista della Hollywood controcorrente. Ma il film che piacerebbe fare a me è un porno! La pornografia ti prende visceralmente, nel mio lavoro è una cartina di tornasole: confusione, paura, emozioni sfrenate... mi galvanizza tutto del corpo dell'altro.


Che track mixare alle storie acide dei tuoi anti-eroi: Nirvana, un Requiem, Blur?

Il silenzio è l'atmosfera migliore per immergerti nei trip dei miei personaggi. So di lettori che inventano compilation basate sulle citazioni rock dei miei romanzi. Quanto ai Blur, mi cattura l'arguzia dei loro testi e... sono pazzo di Alex !


Ma chi, il bassista "degli Smear coi jeans così attillati che gli si vede perfettamente il culo" di Ziggy?

Ho tentato, inutilmente, di mimetizzare negli Smear la band dei Blur. Quando proposero ad Alex di intervistarmi e lui rifiutò, la stampa scandalistica sparò in prima: "Alex ha strizza di affrontare Cooper-Sade". Tempo dopo lo incontro per caso a Los Angeles, mi scuso per aver procurato tanto casino e lui rivela lo strano effetto che gli aveva fatto "essere violentato in un libro da una banda scalmanata di teenager".

La riproduzione di questo testo è vietata senza la previa approvazione dell'autore.

Potrebbe interessarti anche…

autoretitologenereanno
Francesco Gnerre, Gian Pietro LeonardiNoi e gli altrimiscellanea2007