Una contessa di nome Aldo (Palazzeschi)

Intervista a Marco Marchi

17 aprile 2005, "Pride", n. 70, aprile 2005

In libreria una nuova edizione dell'Interrogatorio della Contessa Maria, un romanzo gaio del 1926. L'autore è Aldo Palazzeschi, uno scrittore moderno e anticonformista tutto da riscoprire. Ne parliamo con il curatore dell'opera, Marco Marchi.

Aldo Palazzeschi ha scritto e pubblicato libri per circa settant'anni: dal 1905 (quando uscì la sua prima raccolta di poesie) al 1972, due anni prima della sua morte, avvenuta a Roma nel 1974.

Tra i suoi numerosi personaggi (eccentrici, bizzarri, trasgressivi, surreali) il più spregiudicato è la Contessa Maria, donna divoratrice di uomini che è in realtà Palazzeschi stesso, protagonista di un romanzo rimasto per decenni inedito, Interrogatorio della Contessa Maria. Fu pubblicato solo nel 1988, quattordici anni dopo la morte dell'autore, ma solo oggi possiamo leggerlo "come nuovo" in un'edizione filologicamente curata da Marco Marchi, docente di letteratura italiana moderna e contemporanea all'Università di Firenze, uno dei maggiori studiosi di Palazzeschi e autore del bel saggio introduttivo.
Con lui abbiamo discusso di questo libro così insolito.

Palazzeschi ama mascherarsi dietro i suoi personaggi. Quanto c'è di lui nella Contessa Maria?
Alla base di tutta l'opera di Palazzeschi c'è la ricerca del "Chi sono?", secondo il titolo di una sua celebre poesia. Per lui scrivere equivale a conoscersi, ed è questa esigenza autoinvestigativa che lo porta ad una serie di proiezioni dell'"io" in figure di valore simbolico. Fino al fantastico, fino al grottesco, fino all'en travesti...
Anche in Interrogatorio della Contessa Maria, che di sicuro è uno dei suoi maggiori romanzi, l'autore è insieme sia il giovane poeta che interroga, sia la spregiudicata Contessa interrogata, e tutto in chiave dissacrante e liberatoria.
Questa forte esigenza di liberazione di tipo psicologico-sessuale è presente già nella prima raccolta di poesie, I cavalli bianchi, dove è protagonista la "gente": la gente che guarda, che giudica e opprime, che vieta il diritto all'esistenza.
A proposito di quelle sue prime poesie Palazzeschi parla di documenti di una "giovinezza turbata e quasi disperata", una sorta di affresco dell'inibizione, in cui l'"io" cerca aperture, possibilità di comunicazione col mondo...

Aperture che l'autore trova presto nello sberleffo e nel riso?
Nel primo romanzo, :riflessi, del 1908 (poi diventato Allegoria di novembre) i toni decadenti di una confessione omoerotica in chiave tragica si trasformano già in farsa.
Nella poesia, invece, il passaggio è più graduale.

Comunque sia, Palazzeschi arriva al comico attraverso la sperimentazione sulla propria pelle del dolore, quel dolore che è alla base del suo paradossale ed esilarante manifesto futurista del "Controdolore".
"Lasciatemi divertire", recita un'altra celebre poesia... sta di fatto che per Palazzeschi solo chi ha sofferto impara a ridere: di se stesso e del mondo.

Il tema dominante di tutta la produzione di Palazzeschi è la visione di una sessualità spregiudicata e in contrasto con i tempi in cui è vissuto. Quanto ha contribuito questo aspetto al fraintendimento della sua opera?
Ha contribuito. In un'intervista rilasciata da vecchio, scherzando ma dicendo assolutamente il vero, Palazzeschi sostenne che la fantasia era il suo sesso. Ed era sempre stato così, tanto è vero che quando questa spinta a scrivere manca, gli esiti artistici sbiadiscono... Ma questo non è certo il caso dell'Interrogatorio. La Contessa è la proiezione più alta del desiderio di Palazzeschi...

Dopo i primi romanzi, tra cui questo Interrogatorio (che rimane in un cassetto per evidenti problemi di autocensura), quando si consolida il fascismo, anche Palazzeschi è costretto ad adeguarsi ai tempi?
Palazzeschi non diventa mai fascista.
Per lui non c'è mai stato un vero e proprio "ritorno all'ordine", paragonabile a quello di suoi compagni di strada, da Papini a Marinetti. C'è stato semmai un passaggio di poetica, internamente al comico, dal riso dissacrante al sorriso, secondo una strategia mutata: a un originario "io" solitario contro tutto e tutti (che fa deflagrare qualsiasi presunta certezza di normalità) si viene sostituendo una visione del mondo in cui tutti sono dei "buffi", tutti sono dei diversi. Una sorta di livellante ecumenismo del buffo che apre a forme di riconciliazione con il reale... togliendo inevitabilmente smalto all'espressività di un messaggio così ferocemente antiborghese come era stato quello del primo Palazzeschi.
Ma attenzione: anche un presunto romanzo di tradizione come Sorelle Materassi, spacciato da Palazzeschi stesso (con molto divertimento, credo) come uno studio sulla maternità mancata all'insegna del realismo, è un romanzo in cui uno scrittore cinquantenne, scandalosamente, si proietta in due zitelle cinquantenni. La sbaragliante irruzione del bellissimo Remo nella loro vita, nella grigia esistenza di due donne che non avendo mai conosciuto il sesso non hanno mai conosciuto la vita, è la riproposta di uno stesso problema personale, un aggiornamento del tema omosessuale in chiave di adozione.

La piramide, il romanzo più esplicitamente omosessuale, è ancora in qualche modo "censurato", se non altro perché poco pubblicato. A quando una edizione economica?
La piramide è una delle opere di Palazzeschi da far meglio conoscere, divulgare e rivalutare (c'è già, dopo tanti anni, nel "Meridiano" Tutti i romanzi a cura di Gino Tellini). Meriterebbe sicuramente un Oscar, per raggiungere altro pubblico.
E' un romanzo anomalo, sbilanciato e geniale al tempo stesso, che fornisce quasi un diagramma dell'"immoralismo" di Palazzeschi. In queste pagine Palazzeschi inscena puntualmente il suo battuage, sottintendendo anche nel titolo (La piramide) una precisa ambientazione omosessuale, il parco delle Cascine di Firenze.
L'unico espediente di tipo autocensorio è semmai la scelta di uno stile allusivo, che dice e non dice. Ma chi vuol capire capisce, capisce benissimo...
E chi voleva, capiva anche allora, nel 1926, quando il libro suscitò il pesante attacco moralistico del cattolico Ferdinando Paolieri sulla "Nazione".

Perché Palazzeschi non occupa ancora il posto che meriterebbenella scuola e nelle storie letterarie?
Per molte ragioni e di diverso tipo (tra esse l'antintellettualismo, il suo antiletterarismo), ma senz'altro anche perché la sua libertà comico-fantastica scardina certezze, fornisce immagini dell'uomo e del reale per molti ancora oggi inaccettabili.
La parola di Palazzeschi provoca, la sua originalità intimidisce.
Leggere in una scuola una poesia come "I fiori" richiede ancor oggi del coraggio...
Io comunque, proprio per una collana indirizzata alla scuola, ho proposto qualche anno fa, e con tutto il rigore che una lettura critica richiede, testi di Palazzeschi come Il codice di Perelà (poi curato anche per gli Oscar) e Sorelle Materassi.

I tuoi studi e i tuoi corsi hanno spesso per oggetto Palazzeschi. Qual è il tuo rapporto con la sua opera?
Diciamo che cerco di leggere seriamente un grande scrittore comico...

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