"É minha cara / That's my Face": Thomas Allen Harris sulle tracce di se stesso

16 giugno 2005, "Babilonia", n. 210, maggio 2002

"É minha cara / That's my Face": nel 1996 il regista Thomas Allen Harris compie un viaggio a Salvador de Bahia, la città che rappresenta il cuore, l'anima africana del Brasile. Suo obiettivo era quello di seguire le orme di quegli spiriti che comparivano nei suoi sogni. Vent'anni prima sua madre intraprese un simile viaggio alla ricerca di una patria mitica, un viaggio che portò lei ed i suoi figli nell'Africa dell'est, in Tanzania. "É minha cara / That's my Face" è completamente girato in Super8 e senza tono originale. L'innovativo Sounddesign, che utilizza tecniche Hip-Hop, fa di questo film una festa mitico-poetica della scoperta di se stessi, un rituale antico, vissuto in una dimensione a metà strada tra sogno e realtà, e che si estende lungo tre continenti, che abbraccia tre generazioni e trent'anni della storia della famiglia del regista.

Non è un film in cui si narra di uomini che amano altri uomini, e tanto meno si tratta di un film nel quale vengono mostrati uomini che fanno l'amore con altri uomini. Per quale motivo allora un film di questo tipo era a Berlino tra quelli a tematica omosessuale? E per quale motivo ho voluto incontrare il regista e scriverne un articolo per Babilonia? Tralascio eventuali questioni di definizione (cos'è che rende un film "omosessuale"? etc...) e arrivo subito a spiegare che è stato "lo sguardo omoerotico" di questo documentario a catturarmi, il suo non pronunciare mai il termine "omosessuale" e, tuttavia, il suo mostrarsi tale in ogni inquadratura, in ogni sequenza, il suo essere in grado di farmi credere che gli occhi del regista e i miei occhi fossero un tutt'uno, che tutto ciò che Harris aveva visto e ripreso era una realtà osservata da un punto di vista gay. Un cinema, citando Vincenzo Patanè, che si fa espressione di "una sensibilità differente [...] che si caratterizza per una nuova percezione della sessualità..."; un cinema che, "con uno sguardo e pulsioni gay, introduce un inedito linguaggio erotico [...], attraverso una macchina da presa avida di corpi, di primi piani..."(saggio L'omosessualità nel cinema americano 1987/1998, p. 427 in: Russo Vito, Lo schermo velato, Baldini & Castoldi).

Thomas Allen Harris racconta: "Quando decisi di girare questo film non avevo la benché minima idea di quale forma avrebbe assunto. Sapevo solo che dovevo andare a tutti i costi a Salvador de Bahia. Là c'era qualcosa che da tanto tempo mi chiamava. Ho sempre avuto come una specie di sogno ed ho sempre cercato di seguirlo, di dargli un significato e lasciarmi trasportare. Volevo cercare una religione, o meglio, una cosmologia che fosse aperta nei confronti della sessualità. Avvicinandomi a religioni quali Candomblè in Brasile (una religione africana brasilianizzata, sincretica, organizzata attorno ad un sistema di divinità chiamate Orixas. Ogni Orisha è associata sia ad un santo cattolico che ad una forza della Natura), Santeria a Puerto Rico ed a Cuba ed anche al Vudù di Haiti ho appreso che le loro divinità portano con se' un'identità sessuale ambigua, nel senso che hanno sia una forma maschile che una femminile.

Si tratta di religioni le cui origini vanno ricercate nell'Africa dell'ovest dove, infatti, le divinità presentano questa dualità sessuale.

Con questa consapevolezza legata a pratiche religiose, soprattutto brasiliane, è diventato sempre più forte il desiderio, il bisogno di avvicinarmi maggiormente a tali rituali, in particolar modo al Candomblè; quella visione, quel sogno che da tanti anni portavo dentro di me, mi indicava il Brasile. Là avrei potuto trovare l'immagine divina che stavo da così tanto tempo cercando. Là avrei potuto trovare un Credo che non conosce barriere e confini tra i sessi; la sessualità e la sensualità sono un qualcosa che uniscono i continenti, Africa, America, Europa, qualcosa di antico e primigeneo... non tutte le religioni riconoscono loro però questo potere."


Cercavi nella religione una giustificazione spirituale alla tua sessualità?

No. Il fatto è piuttosto che nella cristianità non ritrovavo il mio volto, la mia immagine, il mio spirito. Sono sempre stato consapevole dell'esistenza in me di una forte dualità: un'entità mascolina ed una femminina e questa dualità ho sempre cercato di trovarla anche al di fuori di me...Ciò che cercavo era forse uno specchio nel quale potessi trovare la conferma dell'appartenenza ad una determinata realtà sociale, storica e spirituale. La dualità nel cristianesimo non è ammessa: in quel Credo si ha il bianco o il nero, il bene o il male.

Le divinità Orixas sono estremamente sensuali, così come lo erano le antiche divinità greche. Queste ultime sono oggi però considerate solo come figure mitologiche, mentre nel Candomblè e nel Santeria le divinità sono considerate come tali; a loro si guarda per derivarne valori, per pregarle; in tali divinità viene osservata anche la loro sensualità. Questi dei, proprio grazie a questa loro connotazione erotica, attirano a sé molti omosessuali. Ti faccio un esempio concreto: nell'isola di Cuba la dea degli Oceani e del fiume Ogun in Africa, Iemajà, madre di tutte le Orixas, è considerata la protettrice degli omosessuali...


Per quale motivo proprio la dea degli Oceani è assurta a divinità eletta dagli omosessuali?

Poiché molte creature dei mari possono cangiare la loro sessualità.


Nel tuo film, ad un certo punto del viaggio, attraverso i rituali africani di una sacerdotessa, vieni a conoscenza del fatto che tu sei sotto la protezione di una precisa divinità...

Si tratta del dio Oxala, creatore dell'umanità. Mi è stato detto che era la mia divinità elettiva; in lui in effetti ho trovato me stesso: egli incarna quella dualità sessuale di cui ti dicevo e si presenta sotto diversi aspetti, maschili e femminili.

La società latino-americana che crede a tali divinità è, come quella dell'Africa dell'Ovest, una società matriarcale e ciò ha un peso notevole nella diversità con cui, rispetto al mondo cristiano e patriarcale, si guarda alla sensualità ed all'erotismo. La società matriarcale non conosce le marcate distinzioni tra i sessi che invece ci vengono inculcate in America del Nord, come in Europa, sin dall'infanzia.


Qual è la storia di Oxala?

Egli è il padre del Creato. Faceva parte del mondo dei vivi, e suo desiderio era quello di conoscere il mistero della morte, il mondo dei morti. La divinità che ha il ruolo di guardiano della Morte è una divinità femminile, Nanà; difatti, secondo il Candomblè, solo alle donne è consentito l'accesso nel mondo dei morti. Le sue sacerdotesse portavano tutte delle tuniche bianche. Per questo Oxala decide di travestirsi da sacerdotessa ed indossa una tunica simile a quelle delle adepte di Nanà e, in questo modo, tentare di scoprire il mistero della Morte. Così abbigliato però, oltre ad attraversare il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti ha attraversato anche il confine esistente tra i generi sessuali. Nanà lo scopre e decide di concedere ad Oxala la conoscenza del mistero della morte, ma egli, divinità maschile, dovrà per sempre vestire gli abiti di una sacerdotessa. È estremamente importante rendersi conto del significato di questa storia che vede il Padre del Creato abbigliato come una donna. In questo modo il confine tra i generi e ruoli sessuali è venuto meno. È una credenza, un insegnamento impensabile nel mondo della cristianità.


Durante questo viaggio a Salvador de Bahia hai incontrato anche un uomo, Jorge...che ruolo ha avuto nel percorso di ricerca di te stesso?

Jorge è divenuto come un fratello con un ruolo, però, quasi antagonistico. Lui trovava le mie motivazioni e le mie aspirazioni non importanti; sosteneva che ogni turista americano in viaggio nel suo paese, Salvador de Bahia appunto, è alla ricerca di un qualcosa di indefinibile che, non essendo stato ancora trovato nel paese di origine e nei corrispondenti valori, viene ricercato in ritualità lontane ed esotiche e nelle divinità Orixas. Lui non crede a questi rituali antichi. Il ruolo che Jorge è venuto ad assumere nel mio viaggio e quindi, in seguito, nel mio film, che di quel viaggio vuole essere la documentazione, è quello dello "specchio" di cui accennavo precedentemente. Tra noi si è sviluppata una profondissima amicizia. Mi ha introdotto in una comunità di intellettuali di colore, di gay afro-brasiliani di Bahia. L'avvicinarmi a questa realtà mi ha fatto comprendere che ero sulla via giusta, poiché osservando loro e confrontandomi con le loro convinzioni e credenze ho capito che l'omosessualità in Bahia è un qualcosa di assolutamente normale. A Salvador de Bahia c'è un detto divertente, ma significativo: la differenza che esiste tra un uomo eterossesuale ed uno omosessuale consinste in due birre! Nel senso che dopo aver bevuto due birre in più, anche l'eterossesuale lascia cadere le sue barriere, i suoi freni, i suoi timori e può gioire nel giacere con un altro uomo...È quello che succede davvero nella settimana di carnevale, durante la quale, per giorni consecutivi, il paese è in festa e l'espressione suprema della gioia del carnevale trova sfogo proprio nella libertà di fare l'amore con chi si vuole e come si vuole, senza doversi nascondere, senza doversi giustificare...; è semplicemente così, lo è oggi, lo era ieri e lo sarà in futuro, proprio perché il dettame religioso non stabilisce linee di confine tra i sessi.

In Brasile la sensualità, l'energia erotica tra gli uomini è fortissima e sempre presente, evidente; lo si percepisce camminando per le strade ed osservando gli sguardi degli uomini che incrociano il tuo cammino. Sono sguardi sinceri, profondi e soprattutto privi di paure e di inibizioni. È come se guardandosi dritti negli occhi, senza distogliere timorosi lo sguardo, si possa guardare più a fondo, fin quasi dentro l'anima e scoprire che siamo tutti uguali e tutti vicini, gli uni agli altri...


E difatti ciò che mi ha colpito nel tuo film, sono anche le inquadrature casuali di uomini in strada che, camminando ed accorgendosi che tu riprendevi, proseguivano nel loro percorso regalandoti però un profondo sguardo disinibito che, lo ammeto, come spettatore mi ha colpito; era come se quegli uomini guardassero noi seduti in sala.... Un'estetica filmica, questa, che ho recepito immediatamente come di segno omosessuale. Il punto di vista era senza ombra di dubbio un punto di vista gay...

Con questo film non ho voluto discutere argomenti gay, non la mia omosessualità. Ciò che ho desiderato è stato semplicemente essere me stesso, un omosessuale, in un mondo estremamente sensuale, da osservare con uno sguardo omoerotico. Ci sono dei momenti nel mio film in cui questo omoerotismo si fa più evidente: mi riferisco alle riprese dei ragazzi seminudi che sulla spiaggia giocano a calcio, alle scene nell'appartamento degli amici di Jorge, il cui cameratismo, pur nella sua discrezione, non lascia dubbi. Tu stesso mi hai fatto notare come le riprese, leggermente rallentate, dei ragazzi in strada che guardano verso la mia cinepresa hanno trasmesso una sensualità fortissima... È esattamente ciò che volevo raggiungere: dietro la telecamera c'erano due occhi, i miei, che guardavano il mondo da un'angolatura gay e che hanno fatto di questa realtà un qualcosa di scontato, quotidiano, di "normale": nel mio film il mondo è gay. Per questo non avevo bisogno di creare una "storia gay". Non sono infatti, a mio avviso, le storie che connotano il cinema come "omosessuale". È piuttosto un determinato stile che si fa espressione di nuovi punti di vista. Il superamento dei confini appartiene al mio stile di vita, e così deve essere anche nei miei lavori. In essi la cultura africana e quella caribica incontrano quelle afroamericane; l'identità pan-africana si coniuga con differenti identità sessuali, così come convenzionali tradizioni filmiche trovano equilibrio con tradizioni sperimentali.


"É minha cara" significa: tu sei come me. Questa frase ti è stata detta in Salvador de Bahia da alcuni bambini che guardandoti hanno creduto di vedere se stessi, o comunque qualcuno a loro molto simile. Anche questo è stato probabilmente una conferma del fatto che proprio in quell'angolo di mondo tu potevi ritrovare la tua identità.

L'espressione portoghese "é minha cara" significa diverse cose: lo si dice se si vuole esprimere la propria somiglianza nei confronti di qualcuno, se si vuole dire che un capo di moda sembra fatto su misura per te, nel senso che corrisponde al tuo stile, al tuo gusto. L'espressione viene anche usata tra i gay per dire, riferendosi ad un ragazzo: "Wow...mica male!"

In tutti i significati di "é minha cara" ho trovato una piccola parte di me e cosí l'ho scelto come titolo...È il vedere il mondo come guardando in uno specchio e ritrovare se stessi in ciò che si sta osservando.


Nel tuo film compare una donna, Alisa, che hai conosciuto durante il tuo viaggio. Ella dice che le motivazioni che l'hanno spinta ad intraprendere un'avventura simile alla tua, erano legate al suo essere una donna di colore ed al suo desiderio di trovare una struttura sociale che, pur nella vicinanza al mondo dei bianchi ed alla sua cultura, le consentisse di sentirsi non più parte di una minoranza, bensí di una maggioranza. Anche lei sembra aver trovato la sua destinazione in Salvador de Bahia. E qui, in questo angolo di Brasile, in cui ascetismo ed erotismo sono elementi cultuali indissolubili, anche tu hai fatto del mondo gay una "maggioranza" o, se non proprio del mondo gay, della sensualità e della sensibilità omosessuali. Hai quindi trovato il significato del tuo sogno in questo viaggio?

Si l'ho trovato nel modo più completo e, in Oxala, ho trovato la mia essenza, il mio essere. Ho trovato una nuova dimensione spirituale, promesse d'amore ed una più profonda comprensione di me stesso. Ciononostante sono anche convinto che il "viaggio" finisca solo con la morte. Per questo la fine di questo mio film è sicuramente solamente l'inizio di un mio prossimo viaggio.
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